«Sembra un paradosso ma il cyberbullo e la cyberbulla temono oltremodo sentirsi deboli ed essere esclusi». A rendere noto il risultato di una ricerca di Unimc è la professoressa Paola Nicolini, docente di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’educazione dell’Università degli studi di Macerata.
«Da un anno a questa parte – continua la professoressa – grazie a un fondo messo a disposizione dalla Regione Marche stiamo collaborando su linee d’azione diverse con gli altri 3 atenei delle Marche per raccogliere dei dati su come i ragazzi e le ragazze rappresentano il cyber bullo e la cyber bulla. Quindi abbiamo chiesto di identificare una sorta di identikit del cyberbullo e della cyberbulla con un questionario, i cui risultati sono stati discussi nelle loro classi, grazie alla collaborazione di diverse scuole diffuse nel territorio marchigiano e dei loro insegnanti».
E’ stato chiesto a studenti e studentesse di analizzare varie dimensioni, ad esempio cosa mangiano il cyberbullo e la cyberbulla, come si vestono, come parlano cosa temono e cosa li mette in difficoltà. «Dalle risposte ricevute procede Nicolini – sembra che quello che viene più temuto dal cyber bullo/a è la debolezza, come se avessero una maschera da indossare appunto per nascondere le loro fragilità, Il contrario di quello che di norma si ritiene ovvero che siano dei ragazzi e delle ragazze aggressivi, prepotenti che prendono di mira le vittime per piacere personale. Probabilmente le vittime invece rappresentano proprio un loro riflesso, a specchio e facendo del male, cercando di eliminare le vittime con i loro atti aggressivi di fatto provano a eliminare le parti del sé che gradiscono di meno. Questa è un’ indicazione forte al livello anche della presa in carico di queste traiettorie di sviluppo e di come ci si possa avvicinare in modo tale da sostenere una ripresa di una identità che sia più dialogante con l’ambiente i contesti e le altre persone» .