di Leonardo Luchetti
Riccardo Grifoni, oltre che chirurgo generale ad indirizzo d’urgenza e urologia in Italia, è anche un medico di Medici Senza Frontiere Italia (M.S.F.), con la quale dal 1999 fino al 2015 ha svolto molte missioni, in paesi lontani e pericolosi, come l’Afghanistan, l’Angola e la Sierra Leone. Ma la sua esperienza che, ha raccontato in piazza a Colmurano in occasione delle iniziative per il patrono, non si limita a questo, anzi ha partecipato a molte altre missioni con diverse associazioni non governative in Bosnia, in Kenya, in Brasile, in Equador e in Albania, il tutto con il proposito di aiutare, e di fare un atto dovuto per chi non ha potuto studiare.
Cosa l’ha spinta a diventare parte dell’associazione M.S.F.?
«Partiamo dal presupposto che io sono stato fortunato, poiché sono nato in Italia, e non in Afghanistan o in Angola quindi in un paese dove ci sono i requisiti minimi per vivere, poi ho avuto la fortuna di poter studiare, quindi io non ho fatto niente, se non mettere a frutto determinate mie capacità, per questo credo sia un atto dovuto verso coloro che non hanno avuto queste mie stesse fortune».
Ha mai rischiato la propria vita durante una missione?
«Più volte ho rischiato di essere ucciso durante una missione, tuttavia quando andiamo là noi sappiamo benissimo, che non andiamo a fare una scampagnata, ma andiamo in dei posti dove ci sono dei rischi, e nonostante noi abbiamo delle misure e regole di sicurezza rigidissime, l’imponderabile è sempre dietro l’angolo».
Queste esperienze che lei ha fatto, come l’hanno modificata, come uomo e come chirurgo?
«Questa esperienza, ha completamente modificato il mio modo di intendere la vita e vedere le cose; anche come chirurgo perché spesso e volentieri ci lamentiamo di cose banali, nei nostri lussuosi e perfetti ospedali, in realtà basterebbe un po’ di buon senso e sapere che ci sono situazioni molto ma molto più difficili. Noi pensiamo che sia difficile operare in una situazione con poca luce, quando invece ci son situazioni, che io ho vissuto in cui la luce non c’è per niente, quindi dovevamo utilizzare le pile e vai avanti. Tante volte in questi casi si pensa: “tanto lì non c’è il tribunale del malato”, infatti lì c’è il kalashnikov, il parente ti uccide».
Come è riuscito a giostrare lavoro e missioni?
«Giostrare lavoro e missioni è stato molto difficile perché ogni volta sono partito con l’aspettativa senza assegni, e ho dovuto combattere con la direzione sanitaria per farla avere, poiché io lavoravo, ma quando l’associazione mi chiedeva di partire, io chiedevo l’aspettativa e partivo, perdendo oltre che lo stipendio e l’anzianità di carriera, ma anche i contributi pensionistici».