Quando giri per le strade della tua città fai mai caso ai nomi delle vie? Anche il tuo indirizzo, quasi sicuramente, nasconde una storia. Quella del personaggio a cui è stata intitolata una via o una piazza. Molto spesso si tratta di uomini meritevoli e riconosciuti per fama, professione o gesti. E le donne? Nei nomi di vie e piazze sono una minoranza. Lo hanno notato le componenti dell’Osservatorio di genere di Macerata le quali hanno ideato il progetto “#leviedelledonnemarchigiane”. L’obiettivo è stato quello di recuperare la memoria di donne del passato proposte come meritevoli di intitolazioni di vie e spazi pubblici delle città delle Marche.
Il progetto, nato come un social contest, ha portato, attraverso una votazione, a rintracciare nomi di donne, molto famose o conosciute solo nel loro paese di origine, che si sono distinte. Le loro biografie sono poi state riportate in un volume che si chiama “#leviedelledonnemarchigiane: non solo toponomastica”, pubblicato da ODGEdizioni, curato da Silvia Alessandrini Calisti, Silvia Casilio, Ninfa Contigiani e Claudia Santoni, che ha avuto il patrocinio del Consiglio delle Donne del Comune di Macerata 2015-2020, quello della Commissione per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna della Regione Marche e dell’associazione Toponomastica Femminile.
Cm junior, in collaborazione con l’Osservatorio di genere, vi racconta le loro storie. Oggi parleremo di Ines Pieristè di Appignano, meglio conosciuta come Mimma De Ciancanella, la cui biografia nel volume è stata curata da Mario Buldorini.
Sai chi è la cocciara? In italiano, è la vasaia ma devi ammettere che il nome “cocciara” ha un suono molto più poetico e suggestivo. Certo non cambia il succo del discorso. Ad Appignano, dove i cocciari erano molto diffusi, visse nel Novecento una sola cocciara. Si chiamava Ines Pieristè ma tutti la chiamavano Mimma De Ciancanella.
Mimma era nata nel 1901 da una famiglia modesta e, ben presto, dovette imparare a “fare la donna” che cento anni fa ad Appignano voleva dire aiutare nelle pulizie, rimediare legna da ardere, raccogliere erbe commestibili, lavare i panni al torrente, provvedere al trasporto dell’acqua potabile con le brocche dalla fonte del paese. La situazione peggiorò con lo scoppio della prima guerra mondiale quando Mimma era appena quattordicenne. Come tutte le donne del paese, si dovette adattare a mansioni che normalmente erano svolte dagli uomini, partiti per il fronte. Fu così che conobbe i vasai rimasti a far girare i torni dell’attività che aveva reso Appignano famosa nella zona e costituiva la più importante, se non l’unica fonte di reddito del paese. E fu proprio con un vasaio, tornato dal fronte che si sposò nella primavera del 1920. Si chiamava Settimio Fermani ed era vasaio per una lunga tradizione familiare. Mimma lo affiancò nell’attività. Non era una vita comoda ma consentiva loro di avere da mangiare. Delle stoviglie rustiche avevano bisogno tutti per mangiare, lavarsi, per mantenere vino e olio, in campagna per utilizzare il verderame da dare alle viti e per abbeverare pollame e conigli.
Sembrava prospettarsi per lei una vita tranquilla quando, dopo 14 mesi di matrimonio, Settimio morì e Mimma rimase sola.
Non abbandonò l’attività del marito ma, non avendo fatto abbastanza pratica, si limitava a realizzare le coccette, riproduzioni in miniatura dei tradizionali cocci. Erano richiesti come giocattoli dai grossisti di vasellame durante le fiere di paese e dai visitatori per i riti religiosi del mese di maggio. Le coccette di Mimma venivano anche vendute insieme alle stoviglie prodotte dai cognati. Imparò anche a incatenare i pezzi da fuoco e divenne abile nel trattare quelli più piccoli. Così divenne famosa tra i colleghi, stimata per la forza di carattere dimostrata. Dalla morte del marito visse sempre sola, finchè nel 1933 non cominciò a prendersi cura di un nipote rimasto orfano. Quel bambino, Giovanni, da tutti chiamato “Sittì” in memoria del marito di Mimma, divenne anche lui vasaio. Quando Mimma invecchiò la prese nella sua bottega dove continuò a plasmare coccette e a incatenarle quasi fino alla sua morte nel 1988. In suo onore, quando ha smesso di fare il vasaio, Sittì si è dedicato per qualche anno alla produzione di coccette.