Questa settimana concludiamo la nostra ricostruzione storica sulla presenza delle norme di carattere igienico-sanitario nella scuola di cento anni fa andando a vedere come sia stato affrontato un tema molto delicato: quello dell’uso di alcolici, anche in giovane età.
Partiamo da una premessa: in varie zone d’Italia, e soprattutto nelle campagne, era diffusa la credenza che un modesto consumo di vino non fosse nocivo e anzi potesse sostituire la colazione. A riprova di quanto radicata fosse questa convinzione, sono sufficienti i dati di un’inchiesta condotta nelle scuole elementari di Vicenza nel 1925, dalla quale risultò che si dichiaravano astemi 519 alunni su 4.526, vale a dire solamente l’11,46%.
Del resto, i testi scolastici pubblicati all’inizio del Novecento mantenevano ancora una certa ambiguità in tema di tolleranza alcolica. In un manualetto compilato da Anna Vertua Gentile, autrice molto nota al tempo, si legge che «la bevanda migliore è l’acqua, quando è pura. Si fa anche uso di vino, latte, birra e caffè. Il vino, a berne poco, è nutriente e giova alla salute. […] Anche la birra è bevanda sana». L’unica avvertenza riguarda le bevande «fabbricate con lo spirito di vino, perché nuocciono assai alla salute, abbruttiscono e perfino accorciano la vita».
Il testo prosegue condannando l’abuso di sostanze alcoliche e, soprattutto, il consumo, anche moderato, di liquori, pur ammettendo delle eccezioni: «non se ne deve usare che in rari casi, come di medicine, per rianimare le forze, o per combattere un clima troppo rigido, freddo, o nebbioso». Infine, mantiene un’ambivalenza di fondo per quanto riguarda l’età infantile: «ai bambini non bisogna assolutamente dar vino prima dei tre anni; e dopo si deve darne solo in piccole quantità e allungato con acqua».
Questa sobria tolleranza veicolata dalle pagine dei libri di testo andò riducendosi negli anni, effetto soprattutto della massiccia campagna di informazione predisposta da associazioni e singoli esponenti del mondo pedagogico e medico. Furono infatti fondati associazioni “antialcoolistiche” che, attraverso la distribuzione di quaderni scolastici, cartelloni murali, libri, opuscoli, diapositive da proiezione, fecero opera di propaganda per debellare l’uso e l’abuso di sostanze alcoliche anche in giovane età. Questi quaderni speciali riportavano in quarta di copertina una serie di aforismi relativi ai rischi per la salute oppure brevi racconti di facile presa sulle menti infantili e popolari. In questi testi erano posti in evidenza temi quali i danni legati all’alcolismo infantile, le responsabilità materne, i rischi per i lavoratori, la degenerazione, anche morale, dell’ubriaco.
Su un concetto, inoltre, si concentrarono le avvertenze: il consumo smodato di bevande alcoliche era ritenuto fattore di rischio elevato di contrarre una terribile malattia: la tisi. E anche i testi scolastici insistettero molto su questo punto. Ammonimenti quali: «L’alcool è pericoloso: spesso l’alcoolismo è la via che porta alla tubercolosi» non erano rari nei manuali dell’epoca.
E oggi? Riesci a trovare nel tuo libro di testo qualche brano legato ai danni prodotti dall’alcool, specie nelle persone più giovani?