di Paola Nicolini*
È accaduto ancora, ieri, questa volta a Roma, in un quartiere di periferia. Un gruppo di adulti manifestano davanti a un centro d’accoglienza dove è stata collocata una sessantina di persone di etnia rom a cui sono state assegnate delle case popolari, secondo delle regolari procedure. I rom godono di una cattiva fama, come forse sai, perché purtroppo molti di loro sono dediti ai furti. Il gruppo dei manifestanti è contro la presenza dei rom nel quartiere, anche se nessuno degli ospiti del centro di accoglienza ha in effetti commesso dei furti e tra loro ci sono anche delle famiglie con bambini.
Un altro gruppo di persone si è organizzato per portare del pane all’interno della struttura, per dare sostegno alimentare ai rom distribuendolo. È così che avviene uno scontro, perché quelli che manifestano danno contro a quelli che portano il pane. Molto del pane finisce per terra, calpestato. Volano qualche urlo e qualche slogan, c’è tensione tra quelli che sono contro i rom e quelli che vogliono portare loro da mangiare. È qui che avviene la cosa più bella, quella di cui desidero parlarti.
Un ragazzo, Simone, un quindicenne come molti di voi, passa da quelle parti di ritorno dalla scuola. Si imbatte nella situazione e prende la parola, rivolgendosi a quelli che sono contro la presenza dei rom e che hanno impedito la distribuzione del pane. Dice che a lui non va bene che ce la si prenda con le minoranze. Sostiene con calma, con fermezza, con precisione di argomenti, con il ragionamento logico, il dialogo con i grandi che gli sono intorno. Il video che documenta la situazione mostra come Simone abbia risposto con serietà, mostrando una grande “autoregolazione emotiva”, cioè la capacità di modulare le energie senza cadere preda della paura o reagire all’aggressività con altra aggressività.
Simone ha saputo fare le cose giuste, come già era accaduto nel pulmino degli studenti preso in ostaggio dall’autista, qualche giorno fa. I ragazzi del pulmino, ha scritto Daniele Novara, un esperto che da anni si occupa di studiare la “competenza conflittuale”, «hanno tenuto bassa la tensione e chiesto aiuto, di nascosto e senza perdere la calma. Non hanno tentato di aggredire il sequestratore, non hanno prestato il fianco per attivare i suoi comportamenti violenti (l’uomo, oltre che alterato, era armato): in un contesto del genere basta un niente per scatenare l’imprevedibile… Avere la capacità di stare nelle situazioni di stress e tensione, mantenendo la barra dritta e la lucidità è la grande competenza che tutti, grandi e piccoli, dovrebbero avere».
«Secondo me nessuno deve essere lasciato dietro. Né italiani, né rom, né africani, né qualsiasi tipo di persona. Io non ho nessuna fazione politica dietro. Io so’ di Torre Maura e ragiono con la testa mia», ha detto Simone ai grandi che erano intorno a lui e mostravano un fare un po’ minaccioso. Gli hanno detto: «Ma sei uno su cento…», come a dire che il suo parere non aveva alcun peso, che lui era minoritario e irrilevante. E lui «Sarò pure uno su cento, come dite, ma da voi non mi faccio spingere. Ragiono di testa mia».
Tra le altre cose, Simone ha detto: «È sempre la stessa cosa, quando ti svaligia casa un rom tutti dobbiamo andargli contro, se lo fa un italiano allora stiamo tutti zitti. Si va sempre contro la minoranza, a me non mi sta bene». E ha centrato appieno il nocciolo del problema, cioè il fatto che si verifichino a volte dei furti, sia a opera di rom che di individui provenienti da altri gruppi, perché non c’entra affatto la nazionalità in questo tipo di situazioni negative.
Simone ha saputo tenere a bada il pregiudizio che si scarica a volte su alcune minoranze, ha voluto comunicare agli altri la sua posizione, ha mostrato di sapersi prendere la responsabilità delle proprie idee. Inoltre ha continuato a rispondere in modo rispettoso, pacato, non ha urlato né usato parolacce, non ha inveito, ha tenuto basso il livello dello scontro sebbene abbia mostrato una posizione opposta a quella del gruppo dal quale era circondato. Simone poteva passare oltre e far finta di non avere visto né sentito, e invece si è fermato per esprimere ciò che pensava.
Simone ci insegna come si possa so-stare nel conflitto senza che questo degeneri in violenza. È un brillante modello a cui ispirarsi per prendere il coraggio di dire la propria, soprattutto quando dire la propria è a difesa di qualche altro essere umano attaccato e messo alla prova. Un esempio di coraggio, un piccolo eroe del quotidiano a cui rifarsi quando anche a noi capita di tirarci indietro per paura, per vergogna, perché pensiamo «se non lo fanno gli altri perché dovrei farlo io?»
*Paola Nicolini, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione – Università di Macerata
magari avrebbe potuto dire e dare un’alternativa: portate i Rom ai Parioli., oppure alla Domus Laetitiae, un magnifico centro residenziale con un parco intorno in cui non sembra di stare al centro di Roma. Perché dare ai poveri più poveri un luogo in mezzo ai poveri?