La pandemia è stata per tutti noi una fase straordinaria, nessuno di noi se lo aspettava, né era preparato ad affrontarla e ancora oggi, dopo più di due anni facciamo fatica a capire cosa ci ha lasciato. Studenti e studentesse del ciclo di lezioni di Metodi e tecniche di analisi dello sviluppo umano del corso di laurea in Scienze filosofiche, all’Università di Macerata, con la supervisione della professoressa Paola Nicolini hanno intervistato alunni e alunne di una scuola dell’entroterra e raccontano, in questa rubrica “La pandemia vista dall’interno”. Le emozioni e gli stati d’animo raccolti con le interviste alla classe forniscono uno spaccato sui pensieri e i sentimenti di questa giovane generazione, alle prese con nuove sfide del dopo terremoto, nel bel mezzo della pandemia e di una guerra in corso
di Matilde Palpacelli*
Uscire dall’infanzia significa innanzitutto mettere in discussione il proprio rapporto con la famiglia. Ma oggi avere tredici o quattordici anni significa aver dovuto affrontare anche qualcosa di differente rispetto a questo: la guerra negli ultimi giorni, la pandemia e, per le ragazze e i ragazzi della terza media di un paesino dell’entroterra marchigiano, anche il terremoto.
Un quadro disteso
Non tutte e tutti, comprensibilmente, hanno voluto approfondire con noi nello specifico l’argomento dei rapporti con la propria famiglia, ma chi l’ha fatto non ha evidenziato particolari conflitti o difficoltà durante la convivenza forzata. Molte e molti dicono che il loro legame con i genitori non è cambiato negli ultimi anni, che si va sempre d’accordo e che anche se si litiga poi ci si riappacifica. In generale quindi ragazzi e ragazze intervistati testimoniano che c’è dialogo con le loro famiglie.
Non solo le ragazze e i ragazzi ma anche le adulte e gli adulti hanno avuto, durante questa esperienza unica, tantissimo tempo da passare in casa, e passare più tempo tutti insieme ha spesso permesso di conoscersi meglio e anche farsi forza a vicenda. M. ricorda che i momenti più belli di tutta la quarantena erano le gite domenicali con i genitori e la sorella, perché «mi sentivo felice con tutta la famiglia riunita, era come essere tornata bambina».
Affrontare delle difficoltà insieme può dunque aiutare a rafforzare i legami, quindi paradossalmente questa situazione, che poteva esacerbare i rapporti, sembra aver portato anche qualcosa di buono.
La vicinanza con la famiglia in un momento di incertezza come quello vissuto sembra aver offerto sicurezza. J. racconta che spesso aiutava in casa, ad esempio aiutando la mamma a cucinare, mentre per L. la pandemia non ha portato solo cose negative perché «mamma e papà cucinavano spesso la pizza, abbiamo mangiato insieme molto più spesso di prima».
Prevedibili difficoltà
Fermo restando quanto detto, chiaramente non è stato facile restare chiusi in casa con i genitori e magari anche i nonni proprio in quella fase in cui di solito si iniziano a fare le prime esperienze di autonomia, senza il controllo di un adulto. Sono ricorrenti nei racconti termini ed espressioni che rimandano tanto alla noia e al senso di vuoto quanto all’impressione di sentirsi bloccati, in gabbia, di non potersi esprimere del tutto.
Anche in questa fase delicata la famiglia è fondamentale, potendo diventare sia il peggior nemico che il più forte alleato per la ragazza o il ragazzo. Infatti C. riconosce in maniera calzante che durante il lockdown «la famiglia mi ha aiutata, infatti mi ha fatto uscire da un periodo un po’ depresso» .
Un supporto prezioso contro la solitudine sono stati fratelli e sorelle, infatti in tanti hanno raccontato della complicità che si è sviluppata fra loro in questi mesi. Giocare insieme ai più piccoli, guardare film o condividere confidenze coi più grandi, aiutarsi a vicenda coi compiti, fino ai casi in cui un fratello può essere veramente «il mio migliore amico»; la pandemia è stata anche tutto questo nei racconti che abbiamo raccolto.
Abbiamo inoltre rilevato che molte tradizioni di famiglia sono venute meno, non si è ancora tornati a fare i pranzi della domenica o a frequentare regolarmente nonni e cugini, in questa fase di passaggio. Di certo ogni situazione è diversa dalle altre, e ogni famiglia ha il suo equilibrio e le sue differenze che la caratterizzano, ma non era mai capitato che un’intera generazione dovesse stare tutto questo tempo a contatto con la propria famiglia. Necessariamente è mancato nei mesi dei restringimenti dovuti alla pandemia uno dei lati che maggiormente caratterizza questa età, ossia la sperimentazione, quelle prime volte che possono anche essere errori ma che anche per questo sono parte fondamentale della crescita.
Appare ancora vivo nelle ragazze e nei ragazzi il ricordo di un periodo duro, soprattutto se paragonato alla spensieratezza che ricordano da prima. «Non abbiamo più gli stessi sorrisi di prima», «non siamo più tanto speranzosi verso il futuro» dicono, mostrandosi consapevoli di quello che hanno attraversato. Tuttavia è bene ricordare che questo atteggiamento in parte accomuna tutte le ragazze e i ragazzi di questa età, proprio perché crescere significa anche fare i conti con dei cambiamenti dentro e fuori di sé e con una visione più ampia di ciò che ci circonda, a causa di una più profonda percezione delle emozioni, che necessariamente comporta una perdita della spensieratezza, delle inquietudini e uno spaesamento inediti rispetto alla fase dell’infanzia, e che, da qui in avanti, sarà necessario un nuovo equilibrio.
Non solo un momento di “stop”, ma l’inizio di un percorso di crescita
Nonostante questo le ragazze e i ragazzi, mostrando una volta in più la maturità della loro generazione, sottolineano quasi sempre il lato positivo e formativo di questa esperienza: lungi dal lamentarsi dall’aver avuto «il fiato sul collo» comprendono che questa esperienza unica ha anche consentito il rinsaldarsi del legame genitore-figlio. Le famiglie hanno potuto trascorrere più tempo insieme, conoscersi, magari anche parlare e aprirsi, sicuramente farsi forza a vicenda.
«I miei mi appoggiano – dice I. -Mi sento a mio agio in casa quindi non mi cambiava molto avere i miei spazi o meno – sottolinea A., – ho dato più importanza alla famiglia, mi sono resa conto che alla fine quelli che avrò per sempre sono loro».
È probabile che questo processo abbia anche ritardato o quantomeno trasformato le modalità del momento del distacco, ammorbidendo il contrasto generazionale: trovandosi a dover affrontare gli stessi problemi, i ragazzi e le ragazze si sono messi, forse come mai prima, nei panni dei loro genitori. Hanno visto da vicino i loro dubbi, le incertezze, le paure… si sono forse potuti immedesimare in loro e magari capirli meglio. Basti pensare che molte famiglie hanno preso il covid tutti insieme, in una fase in cui non erano ben chiari sintomi e rischi: indipendentemente dall’età si sono trovati tutti ad affrontare la stessa sfida e le stesse paure.
Non solo i figli e le figlie hanno fatto affidamento sui genitori, ma in qualche caso anche viceversa: N. racconta dei suoi allenamenti quotidiani con la mamma, per tenersi compagnia e motivarsi a vicenda, P. racconta delle serate passate a chiacchierare o immersi nei giochi di società con i fratelli, e tanti altri ci confermano che il confronto e le chiacchiere non sono mancati.
Certamente questa esperienza ha anche sottolineato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che per essere felici la famiglia non basta: senza i loro amici e amiche, lo sport, la scuola, gli svaghi, le passioni, la vita non è percepita come completa. Inoltre va esplicitato che sicuramente non in tutti i casi le circostanze avranno potuto consentire alla convivenza con la famiglia di essere così fruttuosamente positiva.
Allo stesso tempo però possiamo dire che, ragionando in base ai dati raccolti, l’aver trascorso tutto questo tempo a contatto con degli adulti che si preoccupavano di cose differenti da quelle di cui normalmente si sarebbero occupati ragazze e ragazzi fra loro, ha aumentato la loro maturità e capacità di capire la complessità di ciò che li circonda. I. appare consapevole che per le conseguenze della guerra i suoi genitori possono spendere meno, e lei «anche se sono solo un’adolescente – dice, «cerco di aiutarli». Da più di un racconto emerge la volontà di non essere un peso ma un aiuto per la propria famiglia, il legame positivo che c’è con i propri genitori e la consapevolezza che i prossimi anni non saranno semplicissimi. «Non c’è più fiducia nelle generazioni che ci hanno preceduto – dice S. -hanno combinato dei casini».. Però poi G., quasi a risponderle, dichiara: «anche se le cose non torneranno più come prima niente è perduto, tutto è possibile, tutto si può fare».
Attraverso i racconti che abbiamo ascoltato osserviamo capacità di giudizio e maturità, una giusta speranza e le aspettative di ragazze e ragazzi che iniziano a progettare e immaginare la loro strada, scegliendo le scuole superiori.
Pensiamo quindi che, mentre da un lato il naturale distacco e la crescita piano piano avverranno col riprendere di uno stile di vita più variegato e libero da restrizioni, dall’altro lato questi ragazzi e queste ragazze, più di altre generazioni, avranno dentro di sé la traccia di quanto hanno vissuto, porteranno in sé la memoria di questo evento.
Auguriamo loro di saper farne tesoro per diventare adulti più responsabili ed empatici nei confronti delle difficoltà altrui.
*Matilde Palpacelli. Il lavoro è frutto della collaborazione tra l’autore del testo e il resto del gruppo degli studenti e studentesse formato da Riccardo Giachini, Matilde Palpacelli, Sofia Quattrini, Michaelis Taiwo e la supervisione di Paola Nicolini, all’interno del ciclo di lezioni di Metodi e tecniche di analisi dello sviluppo umano del corso di laurea in Scienze filosofiche, all’Università di Macerata.