Ormai da diversi anni l’IIS Filelfo di Tolentino in collaborazione con Compagnia della Rancia e Cronache Maceratesi Junior porta avanti il progetto “Voci dal teatro”, volto alla sensibilizzazione del linguaggio teatrale da un lato e alla valorizzazione delle eccellenze dall’altro. In particolare una redazione scelta, composta da cinque studenti e studentesse del liceo classico e scientifico, partecipa agli spettacoli della stagione del Teatro Vaccaj di Tolentino in posti riservati, e scrive una breve recensione, arricchita spesso da interviste agli attori. Quest’anno con la riapertura dei teatri è ripartito anche il progetto che vede coinvolti Francesca Feliziani e Sofia Lacava del III A liceo scientifico, Leonardo Cruciani, Eva Diomedi e Francesco Feliziani del III A classico, sotto la guida e la supervisione delle docenti referenti del progetto, Cristina Lembo e Sandra Cola.
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di Eva Diomedi*
Al teatro Nicola Vaccaj di Tolentino, la sera dell’11 marzo, Leo Gullotta diventa “Bartleby lo scrivano”. Sul palco è accompagnato da Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Lucia Socci, che insieme danno vita a un brillante spettacolo ispirato al celebre romanzo di Herman Melville. “Bartleby lo scrivano” è un’opera che lascia numerosi interrogativi e assistere a questo spettacolo è un’esperienza estremamente stimolante. La narrazione comincia nell’ufficio di un avvocato a Wall Street in cui tutti i giorni si ripetono uguali, scanditi dai soliti battibecchi tra gli impiegati Turkey e Nippers, dalle moine della segretaria nei confronti del datore di lavoro, dall’ondeggiare del mocio della zelante e chiacchierona donna delle pulizie. In questo replicarsi delle stesse azioni, delle stesse parole, delle stesse emozioni, la platea si trova avvolta (o meglio, soffocata) da una musica incalzante e opprimente, a cui si aggiunge progressivamente uno strumento all’entrata in scena di ciascun personaggio. Un giorno, però, la musica cambia.
Arriva, non si sa da dove, un nuovo scrivano, Bartleby. Non è un uomo loquace, ma è efficientissimo nel proprio lavoro. Copia una grande mole di documenti in brevissimo tempo. Quando, però, l’avvocato lo invita a rileggerli, Bartleby ribatte con un “avrei preferenza di no”. Fa la sua asserzione con un tono pacato e gentile, ma l’affermazione resta lapidaria e irremovibile. Improvvisamente, questo diventa il motto dello scrivano, che si rifiuta di portare a termine qualsiasi compito, di essere ancora uno scrivano. “Avrebbe preferenza” addirittura a non andarsene mai dall’ufficio, a mangiare e dormire lì, pur non lavorando. È proprio la mitezza, l’apparente atarassia dell’uomo, che appare docile, indifeso e solo, a mettere in difficoltà l’avvocato: non può lasciare che viva nell’ufficio, ma cacciarlo via gli appare impossibile, sia perché ha un animo compassionevole sia per l’insistenza a restare di Bartleby. Come scrive Herman Melville, “per un essere sensibile la compassione non di rado è dolore”.
Costretto dalle circostanze, l’avvocato cambia ufficio e lo scrivano lo segue, ma, poiché non gli è permesso entrare, dorme sul pianerottolo. Qualcuno lo denuncia, causandone l’arresto. In prigione, Bartleby afferma di “avere preferenza a non mangiare” e muore di inedia. Il rifiuto progressivo dello scrivano parte dal lavoro, passa per il cibo e giunge alla propria identità. Bartleby si annulla. Il motivo sembra ignoto. Forse non accetta più di adeguarsi alla realtà in cui vive, forse si ribella pacatamente, lanciando granelli di sabbia negli ingranaggi della perfetta macchina che è l’ufficio. Forse urla in silenzio. Forse dovremmo ascoltare il suo grido. Magari dovremmo ricercare una vita più umana: spesso oggi, paradossalmente, essa sembra tutt’altro che vicina all’uomo. Come afferma lo stesso Leo Gullotta, Bartleby potrebbe essere ciascuno di noi.
*Eva Diomedi, studentessa del 3 A liceo classico