giovedì, Novembre 21, 2024

La guerra in Ucraina:
un evento disastroso
e le parole giuste

L'ANGOLO DELL'ESPERTA - Paola Nicolini, docente di Psicologia dello Sviluppo dell'Università di Macerata, spiega come raccontare a bambini e bambine quello che sta accadendo in questi giorni

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Promemoria 
di Gianni Rodari

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.

***

In questa poesia di Gianni Rodari, si dice che la guerra è una cosa da non fare mai e poi mai, né di giorno, né di notte. Eppure la guerra esiste ancora. Di sicuro, in questi giorni, ti sarà capitato di sentire parlare della guerra in Ucraina, un Paese nell’Est dell’Europa che è stato attaccato dalla Russia giovedì notte. Forse hai anche visto le immagini e i video di quello che sta accadendo e hai notato una certa preoccupazione sui volti degli adulti.
Nelle situazioni di guerra ci sono desiderio di potere, di dominio, di predare cose che appartengono ad altre nazioni. Possono essere beni importanti di consumo che guidano l’economia di certe zone del mondo. Ci sono Paesi che hanno tante risorse, diventano perciò oggetto di predazione da parte di altre nazioni che se ne vogliono appropriare.
Anche gli adulti e le adulte fanno fatica a capire le motivazioni che hanno portato ad iniziare la guerra in Ucraina e a lanciare delle bombe contro altre città. Potrebbe essere per conquistare un pezzo di terra pieno di tante cose che si possono vendere per guadagnare più soldi e più potere, oppure per dimostrare chi è il più forte o ancora  perché non si vogliono rispettare dei patti. Spesso per più cause insieme, che comunque non sono in alcun modo sufficienti a giustificare l’uso della violenza contro i propri simili.
Purtroppo la guerra è bruttissima e non dovrebbe mai esistere ma, purtroppo, accade perché non sempre i grandi si impegnano per fare le cose nei modi che sarebbero giusti e per il bene di tutti.
Ma attenzione, la guerra è qualcosa di programmato che viene deciso da governi e leader e provoca sofferenza. Non è assolutamente un semplice litigio, nulla a che vedere con i litigi tra te e i tuo amici ed amiche o con fratelli e sorelle, magari perché desiderate lo stesso giocattolo.
Se vuoi saperne di più, chiedi ad un adulto di spiegarti bene cosa sta accadendo e fai leggere ai tuoi genitori, nonni e a tutti coloro che sono al tuo fianco i consigli della professoressa Paola Nicolini per parlare della guerra ai bambini.

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Paola Nicolini

“COME PARLARE DELLA GUERRA AI BAMBINI E ALLE BAMBINE”, LE INDICAZIONI DELLA PROFESSORESSA PAOLA NICOLINI – «Ai bambini e alle bambine va detto chiaramente, perché la parola dell’adulto sia fonte di sicurezza e conoscenza fidata, che c’è una guerra in un paese che si chiama Ucraina ed è per questo che i telegiornali ne parlano e ci giungono notizie di persone che soffrono, di bambini e bambine che hanno paura»  a dirlo è Paola Nicolini, docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Macerata che indica le modalità più adatte per comunicare ai più piccoli una realtà per niente semplice.
Prosegue la docente: «La tentazione di evitare di parlare con bambini e bambine di cose pericolose, faticose da comprendere anche per noi adulti, spesso ci fa rifuggire dall’idea di farlo mentre bambini e bambine vanno accompagnati dentro situazioni che subiscono, perché ovunque si parla di questa guerra che crea tensione e che per loro è molto più incomprensibile che per noi. Se vogliamo essere persone che educano, che siano vicine all’infanzia, dobbiamo prenderli per mano e guidarli. Si possono trovare le parole giuste per dire che nelle situazioni di guerra ci sono desideri di poteri e dominio, beni di consumo che guidano l’economia dei paesi».
Quello che è fondamentale secondo la professoressa Nicolini è evitare di cadere nella tentazione di associare la guerra a un litigio: «Qualunque sia la spiegazione che si intenda dare, evitiamo di paragonare la guerra a una lite tra fratelli o sorelle, o a un diverbio tra bambini o bambine. Il tentativo di semplificare conduce a una rappresentazione scorretta, perché le due cose nulla hanno a che vedere l’una con l’altra.
Una guerra è un atto razionale, una scelta precisa, sebbene assurda, di dominio, di disprezzo della vita, di volontà di potere tramite un esercizio deliberato di violenza.
Una lite o un conflitto sono invece semplicemente uno dei modi di esprimere una relazione, sono una palestra di interazione sociale che conduce a mettersi a confronto, a sentire le proprie ragioni, a misurare le distanze, a sentire le proprie emozioni e autoregolarsi, a modulare l’energia psichica che ne deriva. Le liti spesso si basano su reazioni emotive legittime, che necessitano di esprimersi con un tono più teso e una tensione più alta, ma non sono pericolose. I bambini e le bambine non hanno quasi mai intenzioni consapevolmente aggressive. I litigi sono palestre d’interazione con gli altri e le altre in cui si può stare senza diventare aggressivi. Abituiamoli a stare nei conflitti in maniera rispettosa, anche alzando il tono della voce o in maniera scoordinata, ma evitando di fare male all’altro fisicamente, quella è la violenza. Non bisogna puntare all’armonia e all’assenza del conflitto. La pace è la capacità di stare nei conflitti, governandoli senza escludere o eliminare l’altro che mi crea fastidio.
Per sostenere una comprensione profonda del valore della pace, è necessario utilizzare le categorie giuste nel raccontate il senso della guerra, per permettere anche ai più piccoli e le più piccole di farsene un’idea corretta, e di non sentirsi responsabili di cose di cui sono purtroppo solo vittime indifese».

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