di Elisabetta Pugliese
A circa 15 anni decide di cercare un lavoretto estivo, perché era il modo migliore per riuscire a comprare il motorino. Quindi inizia a collaborare con un balneare per gestire gli ombrelloni e i lettini, ma si accorge che molto spesso alza lo sguardo verso le torrette di salvataggio. Un giorno dice tra sé e sé: “L’anno prossimo farò il corso da bagnino”. E così ha fatto. Da quel momento inizia la sua passione per questo mestiere e si innamora di tutto ciò che riguarda il mare. Questa è la storia di Giuseppe Vaccina, bagnino dal 1989 che d’inverno vive a Macerata e d’estate a Civitanova. Al momento segue la cooperativa Cluana Nantes, che fornisce servizi di salvataggio non solo ai balneari, ma anche ai comuni, con più di 100 bagnini e bagnine. Assieme al suo collega Gabriel Vrancianu, Giuseppe Vaccina segue le spiagge di Porto Sant’Elpidio, Civitanova, Porto Potenza e Porto Recanati e coopera anche con la capitaneria. Oggi il suo è più un lavoro di coordinazione, organizzando i turni e scegliendo i ragazzi e le ragazze più adatti a seconda delle varie postazioni. Sale in torretta solo quando, per varie ragioni, un altro bagnino non può lavorare, altrimenti, dice, «preferisco lasciare spazio ai giovani, che hanno più energia, freschezza ed attenzione. Non si può fare il bagnino in eterno, è un ciclo e il ricambio diventa necessario». Si occupa poi dei corsi di formazione e degli esami per tutti coloro che vogliono accostarsi a questo mestiere, e da tre anni ha organizzato lo “Junior Lifeguard”, un’attività rivolta ai giovani dai 13 anni in su che affiancano i bagnini di salvataggio senza nessuna possibilità operativa, e affrontavano varie prove, come il nuoto in mare, la voga con i mosconi di salvataggio e l’esperienza sulle tavole Stand Up Paddle.
Com’è diventato bagnino? E perché ha scelto di fare questo lavoro?
«Tutto è cominciato quando avevo circa 15 anni, volevo comprarmi il motorino quindi cercavo un lavoretto stagionale. Sono andato a lavorare al balneare Attilio di Civitanova e mi occupavo della gestione degli ombrelloni e dei lettini. Era molto faticoso stare tante ore sotto il sole cocente. Però ricordo che mi capitava di guardare con grande ammirazione il bagnino in torretta, e mi sono ripromesso che l’anno successivo avrei fatto il corso. E in effetti mi sono formato a San Benedetto del Tronto, ho conseguito il brevetto ed ho iniziato a fare questo mestiere, un rapporto di grande amore con il mare che dura ancora oggi. Nella stagione estiva mi occupo a tempo pieno del servizio di salvataggio, ma ormai quasi esclusivamente in ottica organizzativa. Per i primi 10 anni sono stato attivo in torretta, ho preso servizio quasi subito a Sirolo, alla spiaggia Urbani, che è una delle più belle della costa del Conero. Ormai con l’avanzare dell’età ho lasciato il posto in torretta ai più giovani: hanno più energia, sono più freschi e quindi possono essere più attenti. Alla fine è un ciclo, non si può fare il bagnino fino alla pensione, il ricambio prima o poi diventa necessario».
In cosa consiste il suo lavoro organizzativo?
«La coordinazione consiste nello specifico nell’organizzare i turni e nello scegliere i ragazzi e le ragazze più adatte in base alle diverse postazioni. Generalmente impieghiamo due bagnini per ogni torretta, il servizio di salvataggio è sempre diviso in due turni, perché non possiamo sovraccaricare le persone con lassi di tempo da 8 ore. Il primo va dalle 10 alle 14, il secondo dalle 14 alle 18. È un’ottima soluzione, il lavoro diventa più leggero. Spesso alle persone sembra che il bagnino non faccia granché, ma se il lavoro è svolto con coscienza e con attenzione è un mestiere molto impegnativo. Anche se fisicamente non fa sforzi giganteschi, deve sempre essere attento, sorvegliare la sua area di competenza, e questo se fatto nel modo giusto comporta stress e stanchezza. Se a tutto l’insieme aggiungiamo lo stare sotto il sole per ore ed il vento, che in torretta si sente molto più forte, si capisce subito che l’impegno è tanto. Per tutti questi motivi è necessario che i turni siano divisi. E poi sono giovani, così facendo possono godersi di più l’estate e magari uscire e fare anche altre cose. Facciamo anche formazione ed esami dei bagnini di salvataggio».
In tutto ciò che riguarda la formazione, nel suo lavoro segue anche i giovani?
«Oltre ad aver conseguito il brevetto da bagnino ho fatto anche il corso da istruttore di nuoto, e col tempo e con l’esperienza sono diventato maestro per bimbi e bimbe. Proprio in quest’ottica da circa tre anni abbiamo iniziato lo “Junior Lifeguard”, un’attività totalmente gratuita per le famiglie dedicata ai ragazzini dai 13 anni in su. Generalmente affiancano i bagnini di salvataggio, chiaramente senza nessuna possibilità operativa, e tre volte a settimana sperimentano diverse esperienze, come il nuoto in mare, la voga con i mosconi di salvataggio e le tavole Stand Up Paddle. Se le famiglie volevano contribuire alle spese, potevano fare una donazione all’ospedale Salesi di Ancona. Era una bella iniziativa, purtroppo quest’anno con il Covid-19 abbiamo dovuto interromperla, ma sono sicuro che l’anno prossimo ripartiremo».
Quante persone ha salvato? Le è mai capitato di soccorrere bimbi e bimbe?
Devo necessariamente una premessa in cui credo molto. È importante capire che nello svolgimento del servizio di salvataggio non è fondamentale quanti interventi si facciano, ma quanti se ne riescano a prevenire ed evitare. Detto questo, ricordo di aver assistito a circa tre casi davvero gravi, fortunatamente sempre tutti andati a buon fine, ma non le nascondo che mi sono trovato ad intervenire in situazioni di altri colleghi dove le cose purtroppo non sono andate bene. I bagnini fanno tutto ciò che possono, ma non siamo superman: a volte alcune condizioni fanno sì che l’intervento diventi impossibile oppure sia tardivo, penso ad esempio alle condizioni del mare, che magari può essere particolarmente agitato. Grazie al cielo non mi è mai capitato un caso grave con i piccoli, più che altro li richiamavo più verso la riva o stavo attento che non andassero dove l’acqua era troppo alta e non toccavano. Poi ci sono le cose di normale amministrazione, come stare attenti agli svenimenti, alle ferite, alle punture di ricci o alle meduse, sono situazioni in cui un bagnino si imbatte quotidianamente».
Oltre a salvare le persone, cosa può fare concretamente un bagnino in spiaggia?
«La funzione del bagnino è la salvaguardia della vita umana in mare a 360 gradi. Da istruttore di nuoto mi viene in mente il dare consigli, evitare che la gente si metta in pericolo, ma è importante chiarire che chi fa questo mestiere non può e non deve per nessun motivo occuparsi di altro, se non di tutelare le persone, quindi gli ombrelloni, i lettini e il noleggio delle imbarcazioni sono fuori discussione, non sono compiti che spettano a noi. L’80% del lavoro, comunque, è tutta prevenzione. Nei film e nell’immaginario collettivo il bagnino è il fisicato che interviene e tira fuori la gente dall’acqua, ma non è così. Chi sta in torretta comunica, consiglia, tiene d’occhio i bambini e le bambine che sfuggono al controllo dei genitori. Non si deve guardare solo il mare, è necessario prevenire a partire dalla presenza in spiaggia: nel momento in cui un bagnino deve intervenire per tirar fuori una persona dall’acqua, in parte credo che non abbia fatto bene il su lavoro, perché evidentemente è mancato qualcosa sulla prevenzione. A fine stagione, è meglio dire “ho prevenuto 100 incidenti e sono intervenuto due volte”, piuttosto che far sì che questi numeri si invertano».
Cosa non devono assolutamente fare bimbi e bimbe in spiaggia e in acqua?
«La prima cosa importante è che imparino a nuotare, non è possibile che in una nazione come l’italia che ha circa 8000 km di costa l’apprendimento del nuoto sia delegato esclusivamente alle famiglie. C’è l’alfabetizzazione scolastica, quella per questo sport dovrebbe andare di pari passo. Imparare a nuotare non significa fare le gare, ma riuscire ad essere indipendenti in acqua, saper calcolare i rischi, leggere le condizioni meteo e marine e capire quando è il caso di evitare di andare in mare o di allontanarsi. Per quanto riguarda i comportamenti scorretti, ciò che è molto importante è che bimbi, bimbe e giovani non chiedano aiuto quando non è necessario. Molto spesso mi capita di sentirli gridare “Aiuto!” per gioco o per scherzo e non va bene. In quel caso il bagnino dovrebbe scendere dalla torretta e spiegare che è qualcosa che non si deve fare perché non c’è alcun pericolo. Se si fa così, si rischia di finire come nella favola di “Al lupo! Al lupo!”, e alla fine i veri pericoli non vengono notati. È importante anche chiedere consiglio al bagnino su quali siano i punti più sicuri in cui fare il bagno, perché il mare non è tutto uguale, ci sono zone con la corrente più forte o con l’acqua più profonda. Bisogna osservare il mare».
Com’è cambiato il tuo lavoro con l’emergenza da Covid-19?
«Devo dire che non ci sono stati grandi cambiamenti, se non il distanziamento sociale e l’evitare contatti inutili, soprattutto con gli sconosciuti. Nel soccorso è rimasto tutto uguale, perché già da molti anni la famosa respirazione artificiale con il bocca a bocca non si fa più, specie per il diffondersi di alcuni virus come l’hiv. Oggi la persona si soccorre attraverso il pallone Ambu, appunto un pallone a forma di pallone da rugby al quale è collegata una mascherina, che si applica sul viso dell’infortunato e attraverso la quale si fornisce aria alla vittima. Poi c’è la pocket mask, attraverso cui è possibile soccorrere senza entrare in contatto con i liquidi biologici dell’infortunato, quindi mantenere la sicurezza nell’intervento. In entrambi questi casi la mascherina che entra in contatto con il viso dell’infortunato è monouso, quindi non ci sono pericoli. Attraverso l’utilizzo di questi presidi dovremmo riuscire a tutelarci bene. È anche vero che difficilmente troveremo chi nuota con ha la febbre alta o che non sta bene, ma il rischio non si azzera mai, bisogna tenere alta l’attenzione».