La dottoressa Mascia Capitani ha scelto la professione di medico di base spinta dal desiderio di occuparsi dei pazienti, instaurando con loro un duraturo rapporto di fiducia e sostegno. Benché mamma di tre figli, non si tira mai indietro quando si tratta di aiutare chi è in una situazione di bisogno, come è avvenuto quel giorno in cui, pieni di timore e di preoccupazione per il futuro, i terremotati di alcune località delle Marche sono arrivati a Porto Recanati. Ora conosciamo meglio la dottoressa Mascia attraverso l’intervista rilasciata agli alunni della IV D, impegnati in un corso di giornalismo tenuto da Cronache Maceratesi.
Perché ha scelto di svolgere questa professione?
«Ho scelto di diventare medico di base perché in questa professione si stabilisce un rapporto duraturo con il paziente. Il medico di famiglia ti segue per molti anni e per questo si crea un rapporto umano molto profondo».
Quali studi ha praticato e per quanti anni ha studiato?
«Dopo la scuola primaria e la secondaria di primo grado, ho frequentato il liceo classico. In seguito ho scelto la facoltà di medicina che dura sei anni, terminata la quale ho seguito, per altri tre anni, un corso di specializzazione in medicina generale. Ho quindi studiato per complessivi ventidue anni».
«Il medico di base cura le persone. L’aspetto più difficile del mio lavoro è fare una diagnosi, cioè individuare la malattia del paziente. Innanzi tutto si fanno delle domande per capire il tipo di dolore, poi devo visitare il malato. Alcune volte si riesce subito a riconoscere la malattia, altre volte bisogna procedere con esami medici e visite specialistiche».
Cosa le piace di più della sua professione?
«Mi piace il rapporto che si instaura con le persone. Purtroppo guarire non è sempre possibile, ma io posso prendermi cura del paziente, perché curare non è solo dare la medicina giusta, ma accompagnare la persona durante tutto il percorso della sua malattia».
Quale momento è stato il più faticoso e quale il più emozionante?
«Gli anni di studio sono stati sicuramente i più faticosi, perché non capivo ancora bene a cosa mi sarebbe servito tutto quel lavoro. Il momento più emozionante è stato il giorno della laurea perché stava iniziando la mia vita professionale».
Quali sono le malattie più diffuse?
«Tra i bambini, molto diffuso è lo streptococco, poi c’è l’influenza e a volte capita di notare anche la diffusione dei pidocchi».
Come si fa a non prendere le malattie?
«Bisogna lavarsi molto spesso le mani, buttare via i fazzoletti usati e anche cercare di rispettare gli spazi degli altri. Soprattutto voi bambini dovreste capire che ci si vuole bene ugualmente anche se non si sta “appiccicati” agli amici. Questo vale soprattutto nel caso dei pidocchi che si trasmettono molto facilmente da una testa all’altra».
Come bisogna comportarsi questi in caso?
«Appena ci si accorge di avere i pidocchi, bisogna fare un trattamento con un apposito shampoo, da ripetere dopo una settimana. Nel frattempo le mamme devono pettinare i capelli dei bambini con il pettinino fitto che serve per togliere le uova. Per evitare di essere nuovamente contagiati va lavata bene anche la biancheria».
Ha figli?
«Sì, ho tre figli. Due di loro frequentano questo Istituto».
Riesce a conciliare gli impegni familiari con quelli professionali?
«Vi racconto questo episodio. Un giorno Benedetta, la mia figlia più grande, mi ha detto. – Sei la mamma più assente del mondo! Adesso però tutti e tre mi dicono che da grandi vogliono fare il medico, quindi qualcosa di buono ho seminato!»
E’ vero che ha aiutato i terremotati?
«Si è vero, ho cercato di dare loro una mano quando sono arrivati nei vari campeggi di Porto Recanati. Erano circa duemila e provenivano da Ussita, Visso, Pieve Torina, San Severino e Camerino. Erano partiti in fretta dai loro paesi e non avevano niente, neanche le medicine. Il parroco Padre Roberto si è accorto di tutto questo e mi ha subito chiamata, così è iniziata un’avventura. Non avevano bisogno solo delle medicine, avevano soprattutto la necessità di avere una figura di riferimento di cui potersi fidare. Dopo questo primo momento, ho chiamato molti medici, organizzando per alcuni mesi dei turni per andare a prestare la nostra opera nei campeggi. Fortunatamente, molte persone sono riuscite a tornare nei loro paesi, mentre circa quattrocento sono rimaste a Porto Recanati».
Cosa chiedevano?
«I terremotati chiedevano soprattutto affetto e solidarietà, perché avevano paura di essere lasciati soli e di essere dimenticati».
La sua professione sembra molto difficile, se potesse tornare indietro rifarebbe la stessa scelta?
«Per me non è difficile, perché questo lavoro è la mia passione e con impegno, passione e volontà puoi fare qualsiasi cosa, quindi sì, se tornassi indietro rifarei tutto!»
*** Articolo realizzato dalla classe IV D della scuola elementare MEdi di Porto Recanati con il coordinamento dell’insegnante Cinzia Sbaffo