di Martino Giustozzi*
Tutti nella nostra vita abbiamo visto, almeno una volta, un rinoceronte (che sia in uno zoo o su internet). La semplice parola evoca nella nostra mente un’immagine precisa: un mammifero grigio, particolarmente tozzo e portatore, sulla testa, di un grosso corno. Pochi sanno che ,in realtà, questo tipo di mammiferi possiede ben due protuberanze sul cranio (corno frontale e corno posteriore), mentre pochissimi sanno che proprio queste, sono state oggetto di furto al museo di Macerata; ma andiamo con ordine.
Siamo stati ospitati per una mattinata al museo di Macerata. Appena entrati, all’interno della prima stanza, ci siamo ritrovati al cospetto di due imponenti teste imbalsamate appese al muro: erano due rinoceronti neri, una delle 5 specie attualmente diffuse nelle foreste di Asia ed Africa (le altre sono: rinoceronti bianchi, indiani, de Sumatra e di Giava).
Animali di questo tipo sono prettamente erbivori ma estremamente aggressivi quando il loro territorio si trova in pericolo; le differenze tra una specie e l’altra appaiono soprattutto nelle loro dimensioni e abitudini alimentari: rispetto al bianco, il rinoceronte nero ha labbra più lunghe, perfette per raggiungere il fogliame di piccoli alberi.
Dalla trepidazione nella voce di Federico Landi, responsabile del museo, mentre iniziava a raccontarci la storia dell’animale, abbiamo capito che quei crani minacciosi ci avrebbero regalato diversi aneddoti interessanti: «Oh, a questi hanno rubato il corno» ha esordito Landi, poi spiegandoci il valore di quel pezzo tessuto fibroso (il corno non è d’avorio, al contrario di ciò che molti pensano), paragonabile a quello dell’oro; le implicazioni mediche e ornamentali che hanno le corna di rinoceronte in diverse culture non fanno che peggiorare la situazione, la loro grande richiesta ha portato alla ramificazione di un mercato nero spaventoso; i risultati? 3 delle 5 specie sono a rischio estinzione, tra cui il rinoceronte nero.
A mettere una pezza sul furto dei corni maceratesi pensò una ragazza dell’Accademia delle Belle Arti che tentò di riprodurre il corno con gesso, iuta e diversi materiali supplementari, volti a ricreare l’aspetto e la consistenza dell’oggetto di partenza. Il risultato è sorprendente: sicuramente non vale migliaia di euro come l’originale, ma il custode ne è ugualmente soddisfatto «da fuori non si nota la differenza!» dice.
Insomma, dopo una serie interminabile di peripezie i nostri rinoceronti sembrano aver trovato pace all’ingresso della struttura, dove con i loro occhi scuri fanno da guardia a tutti gli altri animali e lanciano uno sguardo severo verso i visitatori, privati di pezzi preziosi ma almeno con una storia da raccontare.
*Martino Giustozzi, studente del liceo linguistico “Leopardi” di Macerata. Articolo realizzato nell’ambito del progetto Pcto (ex Alternanza scuola lavoro)