domenica, Novembre 17, 2024

Mario C., l’alunno somaro
della scuola all’aperto

CRONACHE DAL PASSATO (6a puntata) - La maestra Luisa Marchesini è alle prese con un caso difficile. Lo allontanerà dalla scuola ma farà tesoro di questa esperienza. Due anni dopo, infatti, avrà tutto un altro approccio con una "bambina asina"

 

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L’alunno somaro

di Eleonora Rampichini*

“Back to school: 1918-2018” è un evento culturale che ho progettato e presentato al pubblico in occasione della “Notte Europea dei Ricercatori” del 2018, nei Magazzini Uto di Macerata. Poiché si celebrava anche l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, mi sono lasciata ispirare dall’idea di rendere visibile il patrimonio culturale immateriale della scuola, in particolare mi interessava dare forma ad un sentimento ineffabile come il senso di appartenenza alla scuola che nutre l’immaginario scolastico di generazioni di scolari.
Come potete vedere nella tavola di progetto, l’evento ruotava attorno all’allestimento di uno studio di produzione di ombre, in cui il visitatore poteva partecipare alternandosi nel ruolo di spettatore e di attore. Al centro dell’ambiente scenografico c’è un grande schermo su cui è proiettata la fotografia di un’aula scolastica degli anni Quaranta, visibile grazie all’utilizzo di un telo per retroproiezioni teatrali sia dalla parte del pubblico che dal lato dov’è posizionato il proiettore. I visitatori sono liberi di entrare nella scena e di “far rivivere” i gesti della scuola in un libero gioco di finzione per rendeva omaggio alla memoria collettiva di generazioni di studenti.

somaro_scuola_aperto-5Un gruppo di giovani liceali, compagni di scuola anche nella realtà, entrano in scena. Composti, occhialuti, seri e obbedienti, sembrano seguire una noiosa lezione di latino. Alle loro spalle sta un’ombra, appoggiata al muro in fondo all’aula, con due orecchie da asino in testa, le braccia conserte e le gambe nervose. L’ombra è diversa da tutte le altre. E’ isolata, scomposta, burlona e irriverente. Non si ferma mai, è imprevedibile e vivace come la fantasia con cui tira le trecce delle alunne dei primi banchi. Sfila i pennini dalle loro mani e lancia palline di carta con un’improvvisata cerbottana. E’ un’ombra irrequieta, che non trova posto tra i banchi e che cerca invano di boicottare la lezione. L’ombra-insegnante, d’altra parte, lo ignora, lo trascura, sembra non vederla, come anche i suoi compagni che alzano la mano, scrivono e seguono pur annoiati la lezione, ma ignorano i suoi dispetti e abbandonano, anch’essi, quell’ombra di nessuno.
Dalla cattedra, l’ombra della maestra prende tra le mani la bacchetta delle punizioni, lisciandola e accarezzandola con le dita più e più volte. Fa una pausa solitaria. Poi inizia a percorrere il corridoio virtuale dell’aula, con la bacchetta ferma sul palmo di una mano e lo sguardo girato di qua e di là in mezzo al vuoto dei banchi. Le sue labbra si muovono. Fa una pausa irritata, sciorinando improvvisamente la bacchetta tra i banchi, poggiandola con ripetuti e asciutti tocchi sui piani inclinati di legno in segno di ammonimento, finché l’ombra con le orecchie d’asino risponde al richiamo dell’insegnante, la raggiunge, abbassa il mento verso il petto, si toglie veloce qualcosa dagli occhi e tende le mani per ricevere la punizione.

somaro_scuola_aperto-6-1024x576L’improvvisazione teatrale rievoca l’immagine di una figura che appartiene ad una Scuola che non cambia pur nel rivolgimento di una società mutevole: c’è l’ombra con le orecchie d’asino ovvero l’archetipo del somaro della classe, uno scolaro dominato dall’irrequietezza del non capire. Una figura compromettente in una classe di bravi, la cui vitalità e diversità viene infine punita. L’ombra con le orecchie d’asino ha dato forma al “ mal di scuola” che ha afflitto e affligge ancora oggi generazioni di studenti. Dall’altra parte c’è l’ombra dell’insegnante-sorvegliante che individua e reprime, simbolo dell’azione repressiva della Scuola del tempo in cui l’autorità dell’insegnante era garantita dalla potenza della tradizione alla quale si appoggiava e il modello pedagogico prevalente era quello correttivo-repressivo.

somaro_scuola_aperto-3-1024x791Con un “back to school” narrativo, torniamo al tempo della scuola all’aperto dei Giardini di Macerata. Nel 1925 la maestra Luisa Marchesini ha venticinque anni e tra le mani un diploma di perfezionamento pedagogico conseguito a Bologna, con una tesi sull’educazione del carattere, l’abilitazione alla direzione didattica e nove anni di insegnamento alle spalle, quando decide di allontanare per sempre un suo alunno dalla scuola che dirigeva. Nulla di ciò che aveva studiato l’aveva preparata ad affrontare la somaraggine di chi, come Mario C., sembra non essere fatto per stare a scuola. Nulla di ciò che aveva studiato l’aveva preparata a comprendere la tragedia di andare male a scuola e quanto male facesse essere somari.
Mario C., è figlio di un pensionato della finanza. Classe 1911, sta nel gruppo dei ragazzini più grandi della scuola all’aperto insieme al timido Otello D., l’operoso e assennato Bruno P. che viene a scuola già stanco per i lavori di casa e Maria P. una bambina apatica che alla fine se ne torna con la famiglia a Buenos Aires dove era nata. Le annotazioni periodiche che lo riguardano e che occupano appena due righe e mezzo del diario della classe raccontano di un ragazzino irrequieto e remissivo. Ci dicono anche che egli ha un difetto di pronuncia e una passione, il disegno, in cui riesce. Tuttavia egli non sembra essere capace di mettere in pratica le sue attività e per la sua inettitudine e la sua perfetta immaturità la maestra Marchesini lo dichiara a fine anno “non indoneo” a passare alla successiva classe quarta.
Con la bocciatura quella sua certa irrequietezza lascia esplodere l’insoddisfazione che lo dominava e tutto quello che poi è accaduto.
Le vicende scolastiche dell’anno successivo (siamo a cavallo tra il 1924 e il 1925) sono ancora una volta documentate nello spazio delle osservazioni periodiche del diario della classe che di mese in mese registrano tutta la tormentata storia di Mario, l’alunno-somaro, e Luisa Marchesini, la sua autorevole maestra.
somaro_scuola_aperto-4Ricostruiamo la complessa sequenza di ciò che pian piano si rende visibile all’insegnante attraverso gli aggettivi con cui la maestra guarda e vede questo suo alunno. Sappiamo ad esempio che Mario è un ragazzino “pulito” in un’epoca in cui l’igiene personale era una questione nazionale che non aveva un carattere secondario. La diffusa campagna di alfabetizzazione igienica non si fermava infatti nell’ambito strettamente medico ma aveva una natura culturale e passava appunto – attraverso una particolare collaborazione tra medico e maestro – nell’insegnamento scolastico. Nel tentativo di insegnare agli alunni le più semplici norme igieniche, le prescrizioni dei manuali di igiene scolastica ad uso dei maestri trattano della mancanza di pulizia del corpo o dei vestiti come della questione del consumo di vino e degli alcolici in genere. C’è da capire infatti che l’igiene si proponeva di fornire «una serie di prescrizioni per combattere quelli che frequentemente sono ritenuti i mali del secolo, cioè l’ubriachezza, la ghiottoneria, l’ira, la paura, la pigrizia, la superbia, la vanità, l’ambizione, l’invidia, la gelosia, l’avarizia, ecc.»
Mario dunque è “pulito”, e “docile”. Ma se il suo atteggiamento esteriore è remissivo, interiormente è terribilmente arrabbiato con gli altri e con il mondo. Ad ottobre la maestra riconosce in lui una certa “originalità” e una indole “un po’ maniacale”, esclusiva. Dopo un mese il suo giudizio è scioccante: Mario è un “depravato”! Il ragazzino si è guastato perché fuma, perché gioca a carte, perché gioca a soldi, perché beve molto vino e perché i genitori lo lasciano rincasare anche a mezzanotte.
Quando l’insegnante chiede l’intervento della pubblica sicurezza affinché i genitori vigilino su di lui la situazione sembra per un po’ migliorare: «E’ un po’ migliore: legge e disegna molto» scrive la maestra, la quale scopre anche che se è lodato si ottiene molto da lui perché le lodi, per vanità, lo motivano.
somaro_scuola_aperto-1Poi tutto precipita. All’ennesima provocazione di Mario che scrive parole oscene sul quaderno la maestra Marchesini gli parla con energia, ma egli reagisce guardandola negli occhi, ridendo. Colpita e affondata: forse è questo l’attimo decisivo in cui Luisa Marchesini si arrende e lo lascia andare rinunciando per sempre a lui, «Povero ragazzo – scrive – non si salva!». Deve aver considerato che non si diventa insegnanti per salvare la gente, ma per insegnare. Deve aver pensato che la classe è un reggimento da far marciare al passo: «Non voglio correre il rischio che mi rovini la scolaresca!» scrive infatti, terminando la frase con un punto esclamativo per dare forza alla sua convinzione. Quando convoca il padre del suo alunno, lo consiglia di trovargli un lavoro e di riprenderselo: Mario si ritira dalla scuola il 15 maggio del 1925, ha quattordici anni appena compiuti e per lui l’obbligo scolastico è terminato. La riforma Gentile del 1923, che aveva portato l’obbligo dello studio a quattordici anni di età, sta lì a liberare tutti, gli uni degli altri.
Non sappiamo quando la maestra si sia accorta della povertà dei suoi passi. Ciò che accadde tre anni dopo ci fa pensare però che la storia di Mario C., l’alunno-asino, deve averle insegnato qualcosa, nel senso che deve aver lasciato qualche segno nella sua storia di maestra. Nel 1927, a 27 anni, con un diploma di perfezionamento pedagogico conseguito a Bologna tra le mani, l’abilitazione alla direzione didattica, undici anni di insegnamento e un fallimento scolastico alle spalle, la Marchesini diventa l’insegnante di una bambina-asina, scorretta e insubordinata a qualsiasi autorità. Si chiama Iris M. e abita in via della Rota numero quattro. Dotata di una mente vivacissima ed irrequieta, Iris ha un lodevole talento per la lettura espressiva e la recitazione, ma sembra aver acquisito dai parenti tutte le peggiori qualità anche nel riguardo della morale. Appoggiata dai genitori che giustificano le sue assenze con motivi ridicoli, la bambina mette la sua intelligenza a servizio di ogni sotterfugio e di ogni malizia. Tuttavia, questa volta, la maestra ha la maturità per sostenerla e al di là di ogni merito decide di salvarla. «Avrei potuto punirla negandole il passaggio per la cattiva condotta, ma sono convinta che una simile punizione (che già le fu inflitta in altra scuola) l’avrebbe maggiormente spinta nella trista via nella quale, povera figliola, è incamminata fatalmente».
Nelle stanze di un Archivio di Stato di provincia, custodito nelle pagine dei diari di una classe di cento anni fa c’è il ritratto senza tempo di una scuola che distrugge e di una che salva.

*Eleonora Rampichini, architetto, Ph.D. in Human Sciences-Education, Ricercatrice indipendente e libera professionista impegnata nella valorizzazione della cultura dei bambini

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