di Eleonora Rampichini*
I lavori per l’avvio della Scuola all’Aperto dei Giardini di Macerata si svolsero durante l’amministrazione del Partito Popolare Italiano guidato dal sindaco cattolico Ettore Ricci a seguito della richiesta di Felice Bianchini, direttore delle scuole civiche, che già nel 1917 aveva scritto all’Assessore dell’Istruzione auspicandone l’istituzione. Gli stessi lavori proseguirono ben oltre la primavera del 1924, mentre era già in corso il primo anno scolastico della nuova scuola. Fino a giugno di quell’anno infatti, l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico comunale firmava con provvedimenti urgenti o a seguito delle delibere comunali del commissario prefettizio (che nel frattempo amministrava temporaneamente il Comune) l’impegno a completare il restauro del padiglione da adattare a scuola e a termine i lavori nel sistema dell’acquedotto. Richiedeva l’installazione dell’altalena e degli attrezzi ginnici e così pure di due tende per proteggere l’aula dal sole nella stagione estiva. Importo di spesa complessivo: 1.412,47 lire che facendo il calcolo della rivalutazione monetaria storica corrispondono oggi a circa 1.380 euro.
«All’aperto» era dunque un ambiente scolastico di cui l’amministrazione aveva cura e su cui investiva. Tuttavia c’è da capire che con quell’appellativo non ci si riferiva solo ad uno spazio verde ridotto ad essere un luogo per la ricreazione, la ginnastica o la cura del sole. Esso era piuttosto concepito come un’estensione verso l’esterno dell’aula stessa, come un nuovo, ricco e strategico luogo per la didattica, dunque come un ambiente di apprendimento. «All’aperto» qualificava, insomma, una scuola orientata alla centralità del benessere psico-fisico e intellettuale del bambino rispetto al dentro e al fuori. «All’aperto» identificava un habitat naturale per l’esplorazione dei bambini e, nondimeno, uno spazio informale, complesso e privilegiato per la ricerca e le valutazioni dell’insegnante.
Faccio un esempio. L’ora che per i bambini era di gioco libero all’aria aperta, per la maestra era un tempo dedicato all’osservazione del loro carattere, dell’intelligenza, della capacità, dello stato fisico, della pulizia, della moralità e così via. Le informazioni erano documentate periodicamente, da ottobre a luglio e di mese in mese, nella pagina personale che ognuno aveva nel «Diario della classe» insieme alle proprie generalità, alla registrazione delle assenze e alle annotazioni mensili di profitto. Luisa Marchesini – questo era il nome della loro leggendaria insegnante – definiva con una collana fitta di aggettivi la curiosità e la profondità di ciascuno per l’ambiente. Di ciascuno annotava l’impatto che la natura aveva sul corpo e lo spirito. Delle relazioni tra i maschi e le femmine e di quelle tra compagni narrava le qualità, i benefici o lo sfavore. Si tratta di una documentazione personale che, pur nella sua sintesi, ha una forza narrativa e riflessiva molto attuale che ci permette di idossare lo sguardo valorizzante con cui lei – giovanissima maestra – dava valore all’importanza unitaria tra il corpo, la mente e lo spirito della persona e sopratutto alla centralità del bambino, di cui aveva una sensibile e profonda conoscenza, rispetto al processo educativo e al suo stare al mondo. Eccole le pagine del Diario della Classe. Sfogliamole, per iniziare a conoscere qualcuno dei bambini e bambine della scuola all’aperto di Macerata che la frequentarono negli anni Venti del Novecento.
Giuseppe A. è un bambino di dieci anni – ripetente e figlio di un muratore – che a dispetto del suo fisico florido e ben nutrito, suda per un nonnulla. E’ un bambino un po’ disordinato e distratto, a volte molto distratto! Di certo interessato solo da tutto ciò che è estraneo alla scuola. Tuttavia lo sguardo dell’insegnante è orientato a cercare qualcosa che sia più grande della colpa e non lascia che i suoi pensieri vengano inquinati da fatti squisitamente scolastici. L’attraeva, in particolare e fin dall’inizio, un qualcosa di Giuseppe che aveva a che fare con una sua certa serenità, qualifica che ad ogni modo non la soddisfaceva pienamente. Cosa c’è sotto? – si deve essere chiesta la maestra – cosa c’è sotto a quella sua speciale tranquillità interiore? Cosa c’è sotto a quella tenerezza che pervade Giuseppe al pensiero della sua giovanissima mamma paralitica? Cosa c’è sotto alla sua costante e pronta disposizione alla gaiezza? Nulla la distraeva da quella inquieta ricerca, neanche la certezza che nonostante una raggiunta maturità di pensiero del bambino, lo studio fosse una costrizione davvero superiore a lui. E finalmente giunge all’intuizione, che è anche una cosa grande: «Giuseppe è uno di quei ragazzi da cui si può ottenere tutto. E’ vivacissimo, ma refrattario al male. Questa è la sua grande virtù».
C’è poi il malinconico Fernando A. di 12 anni, orfano di padre e affetto da una orticaria insistente che lo rende irritabilissimo e lo ritarda nello studio. La maestra ascolta, comprende la sua fatica e lo attende con pazienza e speranza: sta benino – scrive a luglio – ora è affabile e spiritoso, studia ed è attivissimo nei lavori manuali. Oltre a Giuseppe e Fernando, tra gli altri c’è Bruno D.: un piccoletto vivace, esuberante, incurante di sporcarsi, di strapparsi gli abiti e molto ingenuo. Tuttavia, a dispetto dei suoi sei anni, se castigato non piange e non è puerile nelle osservazioni. Egli si affeziona così tanto alla scuola all’aperto che, per non lasciarla, decide di migliorare la propria reputazione: si calma, si corregge e giunge a star addirittura mezz’ora a studiare l’aritmentica. E la maestra lo guarda, lo vede e documenta.
Poi naturalmente ci sono le femmine che sono in tutto otto bambine gracili, gracilissime, denutrite e debolissime: Teodolinda, Wanda, Fulvia, Elda, Iris, Vera, Ester e Trieste. Vanitose, viziate, capricciose e ostinate. Sgarbate, ribelli, linguacciute, loquacissime, irrequiete, turbolenti, irascibili. Irruente, impulsive. La stessa Teodolinda G., che ha undici anni ed è figlia del direttore dei dazi, all’inizio dell’anno scolastico appariva timida in sommo grado, ma ecco che pochi mesi dopo giocava con i maschi, correva con grande agilità e soprattutto voleva divenire la prima della classe! E poi c’è la storia di Elda G., orfana di padre. Di sua madre – come per ogni madre a quel tempo– non si conosce che il nome: Teresa Z. Tra le bambine è quella che ha media intelligenza e sufficiente volontà, ma un incidente domestico comprometterà la sua vita scolastica. «I fratelli – scrive a febbraio la maestra – le hanno lanciato una forchetta appuntita sulla ciglia sinistra. Pare che l’occhio sia perduto». Dopo un mese, a causa di un’iniziale cura sbagliata, a Elda è rimasto solo un barlume di vista. Tutto il fisico è più debole, così la volontà e la memoria. Sentiamo anche noi tutto l’affanno della bambina, e ci solleviamo con lei quando leggiamo che in primavera sembra essersi irrobustita ed ha migliorato: «Ma per ora – scrive ancora Luisa Marchesini – bisogna pensare al corpo ed al cuore, lasciando indietro la cura dell’intelligenza».
Infine ecco la maestra Luisa Marchesini, qui ritratta oramai coi capelli bianchi in compagnia di una sua alunna: sono una affianco all’altra, il corpo della maestra è leggermente inclinato verso la bambina e la coppia guarda insieme verso la direzione indicata dalla piccola. La postura dell’insegnante e il quadro nel suo insieme possono essere considerati la trasposizione fotografica delle parole con cui il direttore della scuola all’aperto di Roma negli anni Cinquanta – Bajocco si chiamava – rifletteva sul ruolo svolto fino ad allora dalle scuole all’aperto considerando come i loro principi fondamentali, ancor prima di essere una vera avanguardia educativa, fossero comuni ad un orientamento puerocentrico: «Il maestro oggi, come ieri, ha davanti a sé due sole alternative: o condursi dietro lo scolaro più o meno riluttante sulla via da lui segnata; o seguire lo scolaro, fin dove è possibile e compatibile con i fini dell’educazione, per quello che a quegli piace».
*Eleonora Rampichini, architetto, Ph.D. in Human Sciences-Education, Ricercatrice indipendente e libera professionista impegnata nella valorizzazione della cultura dei bambini
«Una scuola più bella, amabile e all’aperto» La lettera che aprì le porte al futuro
Scuola all’aperto dei Giardini Pubblici, inizio delle lezioni il 1 ottobre 1923
Grazie per questo splendido ricordo di questa scuola straordinaria, nella quale, abitando in Via Mozzi, ho avuto la fortuna di frequentare gli ultimi anni delle elementari ed in cui, nell’unica grande aula, convivevano bambine e bambini di classi differenti, splendidamente seguiti e guidati dalla eccezionale Maestra Marchesini.
Gentile Paolo, avrei davvero piacere di contattarla per sapere di più. Le lascio il mio cellulare che è 344 3829107. sarei felice se mi chiamasse
Ho un ricordo indimenticabile di questa meravigliosa maestra che ha tanto influenzato le azioni della mia vita.
Un episodio per tutti. In giorno del terribile bombardamento di Macerata, facevo la IV elementare, la nostra maestra, ai primi scoppi, senza perdersi d’animo, ci strinse a se intorno alla cattedra esortandoci a pregare e nello stesso tempo a non aver paura da veri piccoli Italiani.
Giuliano Mazzeo
Gentile Giuliano, avrei davvero piacere di contattarla per sapere di più. Le lascio il mio cellulare che è 344 3829107. sarei felice se mi chiamasse