Scuola all’aperto dei Giardini Pubblici,
inizio delle lezioni il 1 ottobre 1923

Scuola all’aperto dei Giardini Pubblici,
inizio delle lezioni il 1 ottobre 1923

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CRONACHE DAL PASSATO – La ricercatrice Eleonora Rampichini ha ricostruito la preziosa esperienza vissuta a Macerata a partire da 97 anni fa

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La scuola all’aperto Giardini Pubblici

Spesso le risposte alle nostre domande per il futuro sono nel passato. Spesso dimentichiamo esperienze che i nostri avi hanno fatto e che magari rimangono in testi e documenti o su polverosi scaffali e in vecchie foto in bianco e nero, ma soprattutto lasciano il loro segno nel patrimonio culturale e nello sviluppo di una comunità. Un esempio per tutti la scuola all’aperto della quale Macerata visse una straordinaria esperienza, all’avanguardia in Europa. Eleonora Rampichini ha ricostruito la preziosa esperienza vissuta a Macerata a partire da 97 anni fa. Questa è solo una prima “gustosa” puntata di una storia tutta da scoprire.

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Eleonora Rampichini

di Eleonora Rampichini*

Macerata, 1° ottobre 1923, primo giorno di scuola.  Il primo ottobre è stato il primo giorno di scuola per molti scolari fino a quando, per una girandola di vicende, le cose sono cambiate ed ora non lo è più. Succedeva allora che i bambini e le bambine che vivevano in città – mille suppergiù – uscissero dalle abitazioni del centro storico e dalle vie intorno a Corso Cavour, a via Cairoli, dalle case nella zona della vetreria e, a piedi, raggiungessero le scuole urbane che erano, fino a quell’anno, cinque: quattro nel centro storico (via XX Settembre, via Mozzi, via Carlo Alberto e Piazza Ricci) ed una appena fuori delle mura, in via Edmondo De Amicis; le femmine nelle aule delle femmine, i maschi in quelle dei maschi. Sette maestri e ventiquattro maestre si preparavano all’apertura dell’anno scolastico, appunto trentuno insegnanti per trentuno classi. Anche il Regio Provveditore agli Studi per le Province marchigiane e per Zara – Crocioni si chiamava – il Regio Direttore Didattico delle Scuole comunali, Felice Bianchini, l’Onorevole Signor Assessore Delegato della Pubblica Istruzione del Comune, il Sindaco del Comune, prof. Ettore Ricci, i sorveglianti sanitari, le bidelle, i bidelli, insomma proprio tutti aspettavano quel giorno. Quel 1° ottobre del 1923 non fu però un giorno come gli altri. Infatti, un microrganismo, allora come oggi, si diffuse per contagio in tutto il mondo, attaccando i polmoni e trasmettendosi per via aerea attraverso le goccioline di saliva: la tubercolosi – così si chiama ancora oggi quella malattia – era la più grave minaccia per la salute pubblica di quel tempo e per questo motivo, come accade oggi per il Covid, chi si ammalava doveva comunicarlo alle autorità e veniva isolato per ricevere le cure. A milioni si ammalarono. Molti morirono e molti guarirono. Fu così che il mondo intero si scoprì terribilmente fragile, ma anche migliore di quanto pensasse di essere. Medici, scienziati e igienisti, architetti e ingegneri, politici, funzionari, amministratori locali, maestri e maestre, direttori didattici, bidelli, genitori, alunni e alunne furono capaci di unirsi e di cooperare per un bene comune più grande di sé. La ricerca delle cure fu incessante: fu inventato lo stetoscopio che aiutava i medici ad auscultare la gravità delle lesioni polmonari, e poi i raggi X, che permisero di diagnosticare e seguire le tracce del progresso della malattia. Si capì che la malattia aveva una natura terribilmente contagiosa. Si isolò il microrganismo che ne era la causa. Si sviluppò un test per la sua diagnosi ed infine furono inventati due vaccini, uno italiano e l’altro francese. Nel frattempo in Italia, in Europa e ovunque nel mondo furono convocati convegni e conferenze internazionali, furono avviate raccolte fondi per i programmi contro la tubercolosi, furono istituite nuove strutture per ospitare gli ammalati e commissioni speciali che avevano il compito di sviluppare delle campagne nazionali per la prevenzione della malattia, come la «Cura del sole» che invitava la popolazione a stare all’aria aperta e alla luce solare, in montagna e al mare.

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Waldschule di Charlottenburg, nei boschi vicino Berlino (1904)

Ci si preoccupò soprattutto di proteggere i bambini. Ed è per proteggere i bambini che allora, come oggi, si intuì che era necessario pensare a luoghi scolastici ed educativi diversi dai soliti, non più al chiuso delle aule. Si guardò allora alla campagna, ai giardini e ai parchi dentro e fuori le città, e si pensò ad una scuola nuova, all’aperto, riparata, ma a contatto diretto con la terra e il sole e la Natura. Già da qualche anno in realtà questa idea era nata nel pensiero di alcuni filosofi, pedagogisti, studiosi, educatori ed educatrici, maestre e maestri che accusando la scuola tradizionale di rendere i bambini tristi e prigionieri, così costretta com’era da una rigida disciplina in spazi chiusi, desideravano una scuola più coinvolgente ed efficace, ispirata all’osservazione, alla scoperta e all’azione in un ambiente naturale. Fu necessaria la minaccia di un microrganismo per agire. E così una moltitudine di scuole all’aperto (chiamate in inglese open air school, in francese école en plein o anche ecole au soleil, in tedesco Waldschule e in spagnolo escuela del bosque) vennero progettate e fondate ovunque: negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra, a Barcellona, a Berlino, a Budapest, a Stoccolma e in Belgio e in altre città europee. Se ne aprirono, da nord a sud, anche in Italia: a Torino, Padova, Bologna, Milano e poi a Roma, a Brescia, a Firenze, a Venezia fino a Palermo. La loro nota più evidente era la qualità degli spazi, progettati e curati perché in essi si respirassero la bellezza e il sentimento della natura. E belle dovevano esserlo davvero se la Scuola all’aperto di Roma, al Colosseo, fu definita da un allievo del pedagogista statunitense John Dewey, in visita-studio in Italia, una delle scuole più belle del mondo!

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Ecole en plein air a Suresnes, Francia

Nel corso del 1923 si aggiunse alle cinque scuole di Macerata una bellissima Scuola all’aperto, e questo è il secondo motivo che ha reso quel primo giorno di scuola di quasi cento anni fa davvero speciale. Il 1° ottobre di quell’anno, infatti, ventiquattro bambini e bambine, mescolati per la prima volta insieme in una stessa aula immersa nel verde, iniziarono una delle storie più innovative, longeve e gioiose della città: quella della Scuola all’aperto dei Giardini Pubblici. Le vicende cittadine hanno poi sostituito le scuole urbane esistenti negli anni venti – quelle di via XX Settembre, via Mozzi, via Carlo Alberto, Piazza Ricci – con un parcheggio sotterraneo e dei caseggiati di nuova costruzione. Tutte scomparse, tutte tranne una che sta ancora lì: la scuola De Amicis. Stessa sorte toccò alla Scuola all’aperto. Di essa non rimangono che tre cose: il ricordo gioioso di coloro che la frequentarono fino all’inizio degli anni ‘60, le bellissime foto in bianco e nero che vengono spesso diffuse nei social e i Diari di classe delle dimensioni pressappoco dei grandi libri illustrati per bambini, conservati insieme ad altri documenti storici relativi alla scuola, presso l’ Archivio di Stato di Macerata. E sono proprio i piccoli accadimenti dei bambini e delle bambine della Scuola all’aperto, scritti a mano nelle pagine dei suoi diari, le storie di cui continueremo a raccontarvi.

*Eleonora Rampichini, architetto, Ph.D. in Human Sciences-Education, Ricercatrice indipendente e libera professionista impegnata nella valorizzazione della cultura dei bambini

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Scuola all’aperto Fortuzzi, Bologna



2 commenti

  1. Ins.Luciani Assunta il

    La professionalità la cura la ricerca del particolare fa dell’architetto Eleonora Rampichini un esperto tra i più esclusivi nella didattica della scuola dell’infanzia.
    Da molti anni collabora con il nostro I C e saremo sempre grate a lei per i suoi magnifici laboratori ,i suoi consigli, la sua memoria storica la sua naturale dedizione ai bambini.
    Grazie sempre

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