di Eleonora Rampichini*
Maria Diez Gasca – piemontese, specializzata in medicina del lavoro – si era trasferita da Torino a Roma dove le erano stati affidati incarichi prestigiosi, tra cui la responsabilità nell’organizzazione delle scuole all’aperto. In questo ruolo nel 1925 scrive una relazione in cui rivela come lo scopo della presenza della vita vegetale ed animale nelle scuole all’aperto fosse quello di sviluppare nei fanciulli «il sentimento della natura». Ora, come è noto, i sentimenti ci pervadono in ogni istante della nostra vita: affetto, commozione, confusione, e poi gratitudine, entusiasmo, serenità e così via. Ma cos’è mai questo «sentimento della natura»?
Direi – come scrisse la dottoressa cent’anni fa – che il sentimento della natura è un sentire gioioso, bello e nobile della mente per le cose naturali di ogni giorno. Una collana di ripetibili gioie che nascono dall’incontro con la bellezza di un fiore, di un filo d’erba, con quello della luce al mattino, con il sapore dell’acqua del mare o l’odore della pioggia. E’, insomma, la sensibilità della mente per la vita naturale, cui sentiamo e scopriamo di appartenere, come succede con le cose di famiglia. Gli scienziati oggi chiamano questo misterioso legame tra uomo e natura «biofilia», che significa amore per la vita. Ma come facevano i bambini di cento anni fa, che abitavano nelle vie strette di mattoni, chiuse tra le mura del centro storico a prendere confidenza con la Natura andando …in una scuola all’aperto, è vero, ma in città?!
Per prima cosa va detto che la scuola all’aperto di Macerata era ospitata in un padiglione di legno dipinto di un verde tenue, molto mediterraneo, della sfumatura del pistacchio. L’ipotesi, ancora al vaglio, è che si trattasse del Padiglione Döcker – una struttura prefabbricata che Giuseppina Pizzigoni stava già utilizzando in via sperimentale per la scuola milanese “la Rinnovata” – e che il Ministero dell’Interno aveva donato al nostro Comune pochi anni prima, nel 1915, quando in città si era diffusa tra i militari di stanza in città un’epidemia di meningite e parotite. Il padiglione di legno della scuola, come dicevo, era immerso in un luogo tranquillo e verdeggiante, poco battuto dai venti, proprio a ridosso delle mura. Per la precisione si trovava tra i giardini pubblici, il parco delle Rimembranze e lo stadio per le scuole, che oggi non c’è più.
Una maceratese di oggi, bambina negli anni cinquanta, pur non frequentando la scuola all’aperto la ricorda e così la racconta: «Questa costruzione totalmente immersa nel verde lussureggiante dei giardini Diaz….ebbene…io piccola come ero l’ho sempre guardata come un’isola felice…mi figuravo che nelle aule che scricchiolavano per i listoni di legno, echeggiasse sempre il canto dell’usignolo e che dalle finestre entrasse un soave odore di tigli. Lì tutto era verde e profumato, tutto fatto con il legno. Fuori, sotto le finestre, c’erano sempre fiori coloratissimi, forse curati dagli stessi scolari. E quando c’era la neve….mio Dio…che meraviglia vedere la casetta tutta bianca con un amabile piccolo pennacchio di fumo che trasmetteva calore……piccola come ero, ho provato una dolce invidia per quegli scolari che a scuola piantavano fiori colorati».
Come è frequente che accada, la nostalgia ha il potere di idealizzare il passato, tuttavia questo importante grado di fascinazione della scuola all’aperto di Macerata ha un fondamento storico e pedagogico. Una nota infatti delle scuole all’aperto era lo sconfinamento dello spazio naturale che dal fuori si spingeva – come i raggi del sole – fino al dentro, anch’esso arieggiato, luminoso e decorato con vasi di fiori e piante sempreverdi. Un ex-alunna della scuola all’aperto di Macerata infatti ci dice: «Mi ricordo che la scuola aveva una recinzione di rose profumate e che sui singoli banchi la maestra ci faceva mettere un vasetto con i fiori freschi!».
Nelle memorie degli ex-alunni c’è inoltre traccia di un diario specialissimo: il diario meteorologico. Esso fu in realtà istituito con i programmi ministeriali nel 1923, ma nella scuola all’aperto rimase in uso fino all’inizio degli anni Sessanta. Funzionava così: i bambini registravano a turno e giornalmente la temperatura dell’aria, la quantità di pioggia caduta, la direzione del vento, la forma delle nuvole, il colore del cielo e così via. Tutti poi trascorrevano moltissimo tempo all’aperto per osservare e documentare con piccole annotazioni la vita e il comportamento dei coleotteri (ma anche di ragni, farfalle, formiche) che vivevano nel giardino intorno alla scuola. Lo studio delle piante, in particolare, avveniva tramite la raccolta dei fiori e delle foglie che poi i bambini essiccavano, pressavano e conservavano in un corposo erbario.
Molti, molti anni più tardi – settanta per la precisione – lo psicologo americano Howard Gardner riconobbe in questo interesse, nella capacità di osservare e classificare gli elementi naturali una specifica attitudine umana che chiamò «intelligenza naturalistica» e ad essa attribuì delle qualità utili all’uomo contemporaneo pari a quelle del saper leggere (intelligenza linguistica) e del far di conto (intelligenza logica). Ma se è facile intuire l’utilità didattica dell’intelligenza naturalistica, in che modo il sentimento della natura c’entra con le faccende di scuola? Sentite cosa hanno raccontato i bambini di cinque-sei anni della scuola comunale dell’infanzia “Diana” di Reggio Emilia ai bambini di tre anni che li avrebbe ospitati: «Ci sono due giardinetti dentro la scuola, si potrebbero anche chiamare “giardinetti della bellezza”. Rappresentano delle cose della natura. Si vede il cielo e gli alberi fuori dal tetto. In uno c’erano dei pavoni, ma poi li hanno liberati perché loro stavano bene con i loro amici e dovevano avere più posto. Se vi interssa fare delle osservazioni nei giardinetti potete osservare bene i vermi. Se scavate un po’ ce ne sono tanti, perché sono protetti dagli uccelli: i nostri giardinetti sono il loro campo di protezione. Sui vetri dei giardinetti ci sono dei disegni fatti da noi, la luce gli va dentro, diventano brillanti. I Grandi dell’anno scorso, dentro il giardinetto più grande, hanno fatto una “Parete bella” con delle sculture colorate che sembrano degli animali e degli insetti veri veri e delle piante vere, per farlo per sempre bello. Se siete un po’ tristi potete guardare i giardinetti e vi rallegrate».
C’è da capire insomma che con il nascere del «sentimento della natura» si crea un’unità speciale tra corpo, mente e cose naturali che ci fare sentire parte della natura e questo sentire ci riempie di benessere. Voglio infine raccontarvi del mio incontro con Marco, un bambino di 5 anni che ho conosciuto quando frequentava la scuola dell’infanzia “Colli Asola” di Morrovalle. Egli, accompagnandomi a visitare il «suo» giardino-scuola, mi ha spiegato come meglio non avrebbe potuto fare che «i giardini servono per fermarsi a pensare». Lui la sente così la Natura: come una buona compagnia e un sostegno per la mente. Non è solo uno spazio grande e infinito per le attività didattiche e fisiche, o piccino come un’aiuola o un orto da coltivare ed osservare. La Natura piuttosto è uno spazio della mente e una risorsa per lo sviluppo personale del bambino impegnato a dare senso e ordine a cioè che è fuori, ma soprattutto dentro di sé. Questo è il suo più grande potenziale educativo.
*Eleonora Rampichini, architetto, Ph.D. in Human Sciences-Education, Ricercatrice indipendente e libera professionista impegnata nella valorizzazione della cultura dei bambini
«Una scuola più bella, amabile e all’aperto» La lettera che aprì le porte al futuro
Scuola all’aperto dei Giardini Pubblici, inizio delle lezioni il 1 ottobre 1923