di Riccardo Gravina, Tommaso Pulin e Pedro Logan Giuffra Chocano*
Dall’inizio della pandemia sono molti gli “eroi” che ci stanno aiutando pian piano ad uscire dall’emergenza. Uno di questi è senz’altro l’attuale direttore del reparto di anestesia e rianimazione qui all’ospedale di Macerata. Il suo è sempre stato un impegno costante, che dimostra l’eccellente professionalità e dedizione al lavoro che il reparto ha dimostrato nel tempo. Il direttore Diego Gattari si racconta a Cronache Maceratesi Junior.
In cosa consiste il suo ruolo?
«Io sono il direttore del reparto di anestesia e rianimazione nell’ospedale di Macerata. Il ruolo dell’anestesista è quello di far fronte alle esigenze dei pazienti che hanno problematiche agli organi principali e che da soli non riescono ad essere autosufficienti. Questi pazienti necessitano di macchine per poter sopravvivere, come ad esempio con il Covid può essere necessaria un intubazione che va a sostituirsi ai polmoni».
Come ha passato questo periodo difficile causato dal Covid? Ha riscontrato difficoltà al lavoro?
«Per fortuna il nostro è un gruppo assolutamente unito, anche perché non c’è solo Macerata, ma anche Camerino e Civitanova e, per far fronte a questa pandemia, tutti quanti i rianimatori hanno lavorato insieme. Considerate però che la nostra rianimazione ha 8 posti letto, Camerino ne ha 4 e Civitanova 6. Quando sono iniziate ad arrivare centinaia di persone che dovevano essere sostenute dal punto di vista respiratorio, noi abbiamo avuto parecchie difficoltà, perché non sapevamo dove metterli. Logicamente il numero di rianimatori è limitato, quindi per far fronte a questa emergenza Covid è stato necessario far diminuire le altre attività dell’ospedale, in base alle varie esigenze. Grazie ad un importante lavoro di squadra siamo comunque riusciti a far fronte a tutte le difficoltà, molto spesso sacrificando però molto tempo alla vita personale e dedicandola invece all’attività ospedaliera».
Perché ha scelto in particolare anestesia e rianimazione?
«Mi ero innamorato, è stato proprio un colpo di fulmine. Ero in tutt’altra specializzazione, perché durante la laurea di medicina la rianimazione non viene tanto frequentata, ma successivamente alla laurea ho potuto sperimentarla e decisi di abbandonare quel che stavo facendo per dedicarmi ad essa. Il rianimatore si trova a trattare pazienti in coma, che da soli non potrebbero sopravvivere e quindi si affidano completamente alle attività del rianimatore. Vedere che ogni tua singola azione influisce sullo stato del paziente è una cosa affascinante, il fatto che tu possa fare una cosa e riscontrarne immediatamente il risultato di quello che hai fatto. Sono queste le principali ragioni per cui sono diventato anestesista – rianimatore».
Di cosa secondo lei avremmo più bisogno, sotto il punto di vista sanitario, in quest’ultimo periodo oltre a vaccinarsi?
«Sicuramente il personale, voi che siete giovani pensateci, fare i medici e iscriversi alla facoltà di medicina è entusiasmante (se piace ovviamente). Per chi si sente portato per questo tipo di attività, questo è un momento assolutamente favorevole perché di personale c’è né molto poco. Quindi per i prossimi anni ci sarà spazio per eventuali assunzioni e ammissioni in ambito lavorativo dei nuovi medici».
È soddisfatto di come le Marche stanno affrontando l’emergenza?
«Sì, assolutamente. C’è un’ organizzazione ferrea qui nella Marche, perlomeno dal punto di vista rianimatorio. Ci sono delle strutture che hanno modificato le loro attività nell’intento di ricoverare i pazienti Covid, come l’ospedale di Fermo, di Ancona, di Civitanova e di San Benedetto. Questi sono ospedali che hanno sufficienti posti letto di tipo rianimatorio e di tipo sub intensivo per pazienti Covid e attualmente, con questa disposizione, la gestione risulta vincente»
C’è per caso un paziente che ricorda con più affetto?
«Ce ne sono diversi e tutti della prima ondata. Questo perché l’ospedale di Macerata prendeva pazienti che si erano negativizzati, ma che risultavano parecchio soggetti a ricadute abbastanza gravi sotto il punto di vista respiratorio. Per questo li tenevamo anche per molti mesi, in attesa che i loro polmoni riprendessero a lavorare normalmente. Sono pazienti con cui ci teniamo molto in contatto, anche perché vengono spesso qui in ospedale per dei controlli o delle tac. Con queste persone si instaura comunque un rapporto molto forte che sentiamo sia noi che loro».
Ha mai visto qualche serie tv/film riguardante il suo lavoro?
«Si, e le vedo tutt’ora. La mia preferita durante gli anni dell’università era E.R., che faceva vedere le attività del pronto soccorso in maniera precisa e scientifica. Era davvero come se studiassi, perché le operazioni ed i protocolli che gli attori eseguivano erano esattamente come nel libro di medicina. Adesso invece mi accorgo che la figura del medico è stata via via sempre più romanzata e che nelle serie tv più recenti non c’è praticamente nulla di veritiero».
Cosa consiglierebbe ai giovani che aspirano a questa professione?
«Per i giovani che si sentono spinti verso questo lavoro voglio dire che è sicuramente una professione da cavalcare, perché da tantissime soddisfazioni sia dal punto di vista professionale sia da quello umano. Se vi sentite attratti da questa professione o semplicemente dall’ambito medico, io vi consiglio di non pensarci troppo« e di provare».
*Riccardo Gravina, Tommaso Pulin e Pedro Logan Giuffra Chocano, studenti del liceo “Cantalamessa”. Articolo realizzato nel corso del percorso di Alternanza Scuola Lavoro