Niccolò, il bambino contemplatore
che si prende cura del mondo

Niccolò, il bambino contemplatore
che si prende cura del mondo

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LA RIFLESSIONE di Eleonora Rampichini – L’esperienza degli stagnetti di Monet e la preziosa lezione che viene dai più piccoli, capaci di guardare con sentimento alle cose del mondo

 

 

di Eleonora Rampichini*

“Contemplare è un modo di prendersi cura” scrive Christian Bobin, poeta e scrittore francese. Si contempla quando cessa la frenesia e l’avidità del fare, cessano l’attesa e i progetti e ci si ritrova a guardare il mondo con gli occhi del poeta, come se non ci fossimo più per nessuno.
La nostra attenzione si rivolge allora alle cose minuscole e inesauribili della terra, alla gente, agli animali e alle piante di cui pullula la vita e, senza dominarli, maltrattarli o abusarne li ascoltiamo con sguardo luminoso e delicato, come “guerrieri resistenti” che trovano la bontà nel grigiore del giorno e si chinano su tutto ciò che può dare ristoro e consolazione, che ci fanno sentire a casa nostra ovunque nel mondo, come il fischiettare di un nonno o l’odore della pioggia.

WhatsApp-Image-2021-07-02-at-15.11.07-4-300x225Contemplare affina il nostro sentire e la capacità di vigilare sul mondo che ci passa attraverso. Impariamo la fiducia, dove ci sembra di brancolare nel buio, e il coraggio, dove sembra non esserci una possibilità nel reale perché ci educa alla speranza di trovarvi qualcosa di buono e quindi ci dispone all’ascolto, che è già un modo di prendersi cura. Impariamo ad ascoltare in modo diverso e più profondo le cose, soprattutto quelle mute e impercettibili. Sentiamo e impariamo che tutto è un dono e il nostro carattere predatorio si acquieta. Il punto è che il verbo contemplare è caduto in disuso. I poeti, gli artisti e i profeti in realtà non smettono di dirci che “il mondo è pieno di visioni che attendono degli occhi” e che contemplare è una cosa desiderabile. La buona notizia è che ciascuno di noi può contemplare (e può imparare a farlo), perché è un’attitudine che si pratica non solo attraverso l’arte o la poesia o la religione, ma anche in natura passeggiando en plein air tra i muschi dei boschi e alzando gli occhi all’azzurrità ombreggiata del cielo, o quando siamo impegnati in modeste attività quotidiane, come stendere il bucato al sole. Non è fondamentale, infatti, avere un carattere pensoso e riflessivo, o essere dei sognatori che rifuggono dalla vita pratica.

WhatsApp-Image-2021-07-02-at-15.11.07-212x300Contemplativo, dice Bobin, può esserlo “un imbianchino che fischietta come un merlo in una stanza vuota, o una giovane donna che pensa a tutt’altro mentre stira la biancheria”. Non è necessario essere poeta, né essere adulti. Contempla anche un bambino quando fa un mazzolino di fiori o un mucchietto di sassi. Niccolò, ad esempio, aveva poco più di tre anni quando mi accorsi che si specchiava silenziosamente con il viso affacciato su una luminosa pozza acquarellata, come in ascolto di parole invisibili. Sono riuscita a fotografarlo: era in contemplazione. Così concentrato come stava, nel mezzo del vociare di trenta bambini e delle maestre, pareva una cometa! È accaduto in un giorno di scuola quando, ai bordi di un laghetto immaginario, Niccolò e i suoi compagni incontrano Monet, un pittore-giardiniere così innamorato dei giardini acquatici da far deviare il corso di un fiume per avere uno specchio d’acqua da dipingere nel giardino della sua casa francese, a Giverny. Accanto ai dipinti delle sue ninfee, su un grande tavolo di lavoro, i bambini e le bambine sperimentavano l’uso di speciali pennelli con cui miscelavano, a goccia a goccia, tavolozze di colori acquosi, sparsi a profusione: tinte a volte chiare, dolci, fresche e primaverili, a volte fiammeggianti e fosforescenti come l’estate, altre volte buie e profonde come le acque di uno stagno o l’oscurità. È un tempo ricco, necessario per prepararsi a incontrare lo stupore degli stagnetti di Monet: inaspettati giardini galleggianti che i bambini accarezzando l’acqua compongono con una moltitudine di fiori, tra le dissolvenze di mille colori e dei riflessi sorprendenti del cielo. Lo stagnetto di Niccolò è in bianco e nero. Bianco come il latte o la neve, o i capelli dei nonni. Bianco come la pace, o una divinità, e nero come la notte.

WhatsApp-Image-2021-07-02-at-15.11.07-1-300x207Se nella memoria dell’infanzia, il nero regna nell’oscurità abitata da mostri, i bambini, contemplando la dissolvenza del nero nell’acqua, lo guardano “senza sapere, senza morale, senza filosofia, senza alcuna precauzione”, e vedono nascere un colore nuovo. « È il mondo!» dicono con meraviglia. «È la vita…» affermano. Incontrano così un nero amico e fertile, fonte di vita, come le nubi cupe che gonfie di pioggia si abbattono sulla terra per fecondarla. È il nero delle origini, associato per molto tempo a certi luoghi simbolici come le caverne, per esempio, e ad altri spazi naturali che sembrano comunicare con le viscere della terra: grotte, voragini, gallerie sotterranee. Privi di luce, sono luoghi di nascita e trasformazioni, spazi sacri. Il fatto è che l’infanzia – così si dice – non può essere contemplativa. Non può esserlo perché i bambini sono forniti solo grossolanamente di quegli strumenti raffinati necessari invece per l’osservazione. L’infanzia è l’età del “non ancora”, del “non saper ancora” dire, fare, pensare, e dell’essere incompleti sotto ogni aspetto e anche fisicamente.

WhatsApp-Image-2021-07-02-at-15.11.07-5-300x225Quale contributo posso offrire dunque a questa visione in qualità di bambina-contemplatrice e, da adulta, dopo l’incontro con i bambini-contemplatori? Si può dire, ad esempio, che quando il bambino contempla una cosa minuscola, muta e fragilissima come un fiore che galleggia in una pozza di cielo, non sente la necessità di mostrare a qualcun altro quanto è stato bravo a farlo, non ricerca attenzione, non desidera conquistare una meta, non ha intenzione di distruggere quella fragilità. Sta lì, semplicemente pieno di un’attenzione infinita, tesa come un raggio di sole, mescolato fra tutti, bambino accanto a bambino. E se della contemplazione si dice che sia un “perdersi”, come di un bambino che vaga disorientato nel buio di una caverna, a me pare invece che sia come di chi, nella grotta vi entra con una fiaccola in mano, che gli apre smisuratamente le pupille e gli fa vedere più chiaro. La contemplazione appartiene anche ai bambini perché per contemplare, non servono le parole: basta lo sguardo, talvolta il sentire della pelle, delle narici, dei timpani o di un gesto. L’unica vera necessità è di non essere accecati dal sapere e dalla ricerca dello straordinario.

WhatsApp-Image-2021-07-02-at-15.11.07-2-247x300“L’essenziale è saper vedere senza fermarsi a pensare”, dice ancora una volta un poeta, Fernando Pessoa che spiega come ciò esiga “uno studio profondo, un apprendistato a disimparare”. Per questo anche le “personcine di pochi giorni”, come Bobin chiama i bambini, pur con la reputazione di essere grossolani e acerbi, immaturi nel pensiero e nella formulazione dei concetti, sono tra chi riesce più facilmente ad annullare la distanza tra gli occhi e le cose, soprattutto quelle piccolissime come i fili d’erba. Anche i bambini dunque, come i poeti, sanno contemplare, e contemplando “abitano il mondo in un modo umano”. Ecco, essere contemplativi non dipende dall’indole o dall’età, né dai sensi e neppure dalla bellezza di ciò che si guarda, ma da un cuore che guarda con sentimento alle cose del mondo. Un sentimento che le accarezza e che si lascia accarezzare. Un sentimento pacifico che torna da lontano, dove si era rifugiato a causa forse delle brutture e degli inciampi che anche i bambini conoscono. Un sentimento buono e di amicizia con le cose, che li avvicina a esse sempre più, fino a toccarsi l’un con l’altro. “Come fa una madre che rimbocca il lenzuolo accanto al viso del suo bambino addormentato, ed è come se si prendesse cura di tutto il cielo stellato”, così fanno questi guerrieri di quattro anni che raccogliendo i loro sentimenti in uno sguardo, si prendono cura di un pezzettino di mondo.

C’è poi la questione del tempo contemplativo, che alcuni provano a definire come tempo vacanziero, persino “danzante”, ad ogni modo sottratto allo scorrere del tempo stesso, o dal carattere “intimo”, somigliante a quello del sonno o del sogno. Che cosa dire, a questo proposito, del tempo che i bambini trascorrono in contemplazione? Nel misurarlo, in realtà, si possono contare una manciata di minuti appena, più spesso istanti. Istanti in cui cessano i rumori del cuore e della mente e le cose intorno si avvicinano, fino a unirsi. Capiamo bene allora che lo scorrere delle lancette è una strada troppo meccanica e riduttiva per descrivere ciò che accade. Lo sapevano i greci che distinguevano, infatti, il tempo fra “chrónos”, ovvero il tempo cronologico così come noi oggi lo concepiamo con lo scandire delle ore, e il tempo-kairós che dona qualità al primo. In questo senso, l’istante della contemplazione è un tempo di qualità, un momento nel quale accade un ascolto speciale. È il frammento inatteso di un tempo amico, con cui i bambini-contemplatori imparano a familiarizzare, a non contare le fatiche e a guardare con tenerezza all’intima bellezza delle piccole cose del mondo.

IL SUBLIME
Contemplare un cielo stellato e lasciarsi circondare da esso, e sentirsi piccolo, un granello di senape dinnanzi a tale fascino. Ascoltare rapiti il frangersi delle onde, protendersi verso la scogliera e guardare giù.
Lasciarsi invadere l’animo senza resistenza dalla melodia di un canto, ammirare dal basso le sommità di un monte..Tutto ciò, si è perso in una società liquida come la nostra in cui vige la regola del tutto e subito e in cui la superficialità ci caratterizza, siamo chiamati a ricercare il sub-lime, ciò che sta sotto che sta in profondità. Dobbiamo rieducale nostra società al sublime, allo spirituale, allo stupefacente come fare? Troviamo una risposta, partendo da chi più di tutti tra i pensatori è riuscito a dare una connotazione rivoluzionaria, Immanuel Kant. Kant compie una rivoluzione copernicana, un capovolgimento dei punti di vista: il bello non è nelle cose, negli oggetti, ma è in noi, non è oggettivo ma soggettivo, è un nostro sentimento

*Eleonora Rampichini, architetto, Ph.D. in Human Sciences-Education, Ricercatrice indipendente e libera professionista impegnata nella valorizzazione della cultura dei bambini



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