di Laura Boccanera
Trovare e salvare il predatore più importante del Mediterraneo. E’ questa la missione di Francesco Ferretti, maceratese di nascita dalla brillante carriera internazionale nella biologia marina.
E’ lui il direttore scientifico di un progetto pilota, una spedizione senza precedenti per studiare i grandi squali bianchi nel Canale di Sicilia, che coinvolge l’istituto in cui insegna, il Virginia Tech, e altre importanti istituzioni come la Stanford University, la stazione Zoologica, l’università dell’Oregon e per l’Italia La Sapienza di Roma. L’obiettivo è capire quanti esemplari esistono nel Mediterraneo e avere informazioni sull’ecologia del triangolo hotspot nel canale di Sicilia. Da tre settimane Francesco Ferretti è a bordo di un’imbarcazione assieme ad un team di ricercatori internazionali per scovare la presenza dello squalo bianco e filmarlo con le telecamere. Una ricerca affascinante, quasi letteraria, ma la cui rilevanza per gli aspetti connessi alla salvaguardia della biodiversità e dell’ecosistema è elevatissima. Un progetto affascinante per il maceratese che dopo la laurea in biologia marina ad Ancona ha svolto un dottorato in Canada e un post dottorato a Stanford e dal 2019 guida il Dipartimento di conservazione della pesca e della fauna selvatica. Dall’11 giugno col suo team si sposta fra Pantelleria, Lampedusa, Favignana e Marettimo per trovare tracce del predatore più temuto e al contempo più minacciato. E se alla vista ancora lo squalo bianco si nasconde, per ben due volte Ferretti è stato ad un passo dall’intercettarlo. Ci racconta questa straordinaria “caccia” mentre è a terra a Lampedusa in pausa, prima di ripartire per una giornata di studi a largo. «Lo stiamo avvicinando – racconta emozionato – le telecamere non lo hanno ancora catturato, ma ne abbiamo rilevato la presenza tramite le analisi del dna. In pratica attraverso una bottiglia di acqua filtrata riusciamo con un test rapido simile a quello per il Covid in 4 ore ad avere il risultato e capire se lo squalo bianco ha rilasciato dna nell’acqua. In questo modo possiamo capire se è passato da quelle parti. Per ben due volte abbiamo rilevato la presenza nelle nostre stazioni. Stiamo cercando di pasturare con tonno e sangue per filmarlo con le telecamere che vengono piazzate con i palamiti attrezzi da pesca fatti di lunghe corde distese a 1 km e con un’esca per attirare quello che sta nei dintorni».
Ma se l’incontro con lo squalo bianco non si è ancora verificato, il mondo sommerso ha regalato comunque immagini straordinarie della vita in fondo al mare: «abbiamo visto altri squali e anche una storia da film Disney – prosegue Ferretti – le telecamere hanno ripreso una piccolinae di squalo Mako che assieme ad un tonno giocavano insieme nel banco di Pantelleria, a breve diventeranno preda e predatore. Abbiamo visto tartarughe e delfini, ma lo squalo bianco ancora non si fa vedere. L’indagine è epocale perché nel Mediterraneo lo squalo bianco non è mai stato taggato e lo scopo della spedizione è proprio quello di inserire un tag satellitare sulla pinna così da avere informazioni sulla sopravvivenza, sulle abitudini, sugli spostamenti. Questa zona è un importante hotspot per lo squalo bianco e riteniamo che sia una zona di riproduzione. Sappiamo che è presente anche nel Mediterraneo ma lo studia mira a saperne di più. A quanti esemplari ammonta la popolazione, anzitutto se si spostano dall’oceano Atlantico al Mediteraneo. Abbiamo ragione di credere che siano squali che rimangono nel Mediterraneo e questo ne mette a rischio la sopravvivenza perché lo squalo bianco è tra le specie più minacciate e a rischio estinzione per pesca industriale – conclude. Da quanto ne sappiamo la sua presenza si è ridotta dell’80%, è una specie minacciata perché sovente presi nelle tonnare tunisine e nella pesca a strascico o al palangaro. Il tag satellitare sulla pinna dorsale ci fornirà informazioni preziose anche per capire come salvarlo e scongiurarne l’estinzione».