di Eleonora Rampichini*
Abbiamo davanti a noi una foto in bianco e nero, un tondo di bambini e bambine, un cerchio di seggioline pieghevoli, una corona di grembiulini scuri e colletti bianchi, e una scuola di legno. Vi siete accorti? La maestra è in mezzo ai bambini e, insieme, sono un tutt’uno. Questo è il ritratto di una lezione della Scuola all’aperto ai Giardini di Macerata, all’incirca vent’anni dopo la sua istituzione. Tra i bambini alla destra della maestra c’è chi ha il busto proteso in avanti, chi il capo leggermente orientato e inclinato per concentrare lo sguardo e sgombrare la mente da pensieri impostori, chi le braccia rilassate con le mani raccolte nel grembo. Sono in posizione di ascolto. La maestra Luisa Marchesini tiene aperto tra le mani un libro che è sollevato ad una trentina di centimetri dal suo sguardo e, ad alta voce, legge.
Quando la Scuola all’aperto di Macerata è stata aperta, nel 1923, le condizioni sociali dei bambini e delle bambine che la frequentavano erano talvolta di povertà e marginalità. Le generalità anagrafiche annotate nel Diario della classe dell’anno scolastico 1923-24 narrano di bambini e bambine, tra i sette e i dodici anni, che sono figli e figlie di muratori, falegnami, fabbri, focacchi, maniscalchi, sarti, calzolai, cuochi, beccai, di un portalettere, di due commercianti. Alcuni sono orfani di madre o, talvolta, ella è ignota come per Pietro, Giorgina, Maria, Elide e Trieste. Altri, come Fernando, Dario, Emidio, Francesco, Pietro e Giorgina, Remo, Iole e Trieste hanno perso il padre.
Di alcuni scolari la maestra Marchesini fa delle annotazioni. Emidio F. ha l’ostinatezza del popolo ignorante e prima di mostrarsi convinto di una cosa ne vuole la discussione. Dionisio P.– pur non privo di intelligenza – ha un’apatia che trapela da tutto il suo corpicciolo di un grasso flaccido ed è di una vivacità sfrenata tutta propria del sobborgo da lui abitata. Bruno P. è il figlio del popolo che lavora e vive nella miseria e nella trascuranza apatica della povertà. Benchè egli non lavori nelle occupazioni manuali è scusabile, perché già stanco quando viene a scuola. Terzo R. proviene dalla vetreria e riporta a scuola ciò che impara nel laboratorio di suo padre maniscalco. Con altri brevi frasi dipinge un‘infanzia simile a quella dei romanzi dell’epoca: è il caso di Gina di 11 anni, sorella maggiore di una nidiata di fratelli e figlia di genitori che sono obbligati ad assentarsi spesso di casa, motivo per cui la bambina rimane sola coi fratelli. Maria R., una giovane anima senza fiducia e senza sorrisi, sfiaccata dal lavoro di casa appare apatica. Sarà una buona lavoratrice senza iniziativa – scrive la Marchesini – e avrà sempre bisogno di chi la comandi se l’opera della scuola non riuscirà a cambiarla. In un quadro sociale come quello che la maestra dipinge, quali erano per i bambini maceratesi di cento anni fa le concrete possibilità di leggere un libro?
La risposta ha la forma di uno scaffale e prende il nome di «bibliotechina scolastica». Si tratta di una tipologia bibliotecaria ancora presente nelle nostre scuole e che oggi, nella settimana dal 19 al 22 novembre viene celebrata con « #ioleggoperchè », la più grande iniziativa nazionale di raccolta di libri a sostegno, appunto, delle biblioteche scolastiche. Ebbene, il fatto è che la Scuola all’aperto di Macerata negli anni venti aveva una biblioteca scolastica tutta sua ! Sulla storia delle «bibliotechine di classe» – storia determinante anche per la scuola all’aperto maceratese – ci sono quattro cose da sapere.
Uno. Le bibliotechine sono nate all’inizio del Novecento per iniziativa di una nobildonna di origini toscane, Clara Archivolti Cavalieri, fondatrice delle «bibliotechine gratuite» per le scuole. Il suo sogno – che è poi stato il progetto della sua vita – era quello di donare una piccola collezione di libri di letteratura infantile ad ogni scuola della sua Ferrara, città dove viveva, allo scopo di promuovere la lettura, combattere l’analfabetismo intellettuale e morale e portare con il libro utili cognizioni nelle case del popolo. Ebbene, sotto l’alto patronato della Regina Elena e grazie all’imponente organizzazione di raccolte fondi e donazioni di libri usati, in pochi anni le bibliotechine di Clara Archivolti si diffusero nelle principali città italiane, cosicchè il comitato che sovrintendeva la loro gestione si trasformò in dimensione e natura giuridica e diventò l’«Associazione nazionale per le biblioteche delle scuole elementari».
Due. Clara Archivolti Cavalieri, non soddisfatta della qualità della produzione letteraria per l’infanzia a lei contemporanea, decise di selezionare nel «Catalogo ordinato dimostrativo dei migliori libri per fanciulli e giovanetti» i libri migliori, escludendo quelli che avrebbero potuto arrecare anche «il minimo danno al cuore ed alla intelligenza del fanciullo». Sull’esempio della Archivolti si costituirono in tutta Italia comitati centrali, consorzi e associazioni che facendosi promotori della lettura presso le scuole, produssero altrettanti cataloghi, preziose guide pratiche e manuali. Si tratta di operazioni simili a quella odierna, svolta dall’Osservatorio Editoriale di Nati per leggere che dal 2008 redige periodicamente una guida (per genitori e futuri lettori) dei migliori libri in circolazione per bambini.
Tre. A tutto questo fervore seguirono regolamenti, circolari, regi decreti e leggi dello Stato che nel secondo decennio del Novecento raccolse le sollecitazioni della società civile e avviò il processo istituzionale con il quale si voleva dar forma all’«habitus della lettura» ovvero all’abitudine alla buona lettura nei fanciulli. I ministri e funzionari dello Stato – Cedraro fra tutti – avevano la convinzione infatti che per completare l’azione della scuola e coltivare la mente del bambino al di fuori di essa, non fossero sufficienti gli esercizi metodici che pur si facevano col libro di lettura. Quattro. Nel 1917, con il Decreto legislativo luogotenenziale n. 1521 che titolava «Istituzione delle biblioteche nelle scuole elementari del Regno», le biblioteche scolastiche venivano rese obbligatorie in ogni classe delle scuole elementari del Regno d’Italia e dopo cento anni di vicende storiche, lo sono ancora oggi. Tra le altre cose, l’art. 1 stabiliva che la biblioteca scolastica fosse di proprietà del Comune ma posta sotto la diretta sorveglianza e responsabilità di ciascun maestro. Tuttavia, se da una parte per la formazione delle collezioni non si prevedeva alcun onere a carico per lo Stato, dall’altra il tema del loro finanziamento non veniva affrontato se non con l’art. 4, con il quale si consigliava di ricorrere a fondi provenienti da associazioni, doni o lasciti. Si può supporre che si questo il motivo per cui, quando Luisa Marchesini diventò la direttrice della scuola all’aperto, si diede da fare per costituire la biblioteca di classe che, già nel 1924 aveva un fondo librario di 45 libri di proprietà, come è specificato nell’apposito riquadro nel Diario della Classe, della stessa maestra.
Abbiamo davanti a noi una nuova foto in bianco e nero, un tondo di bambini e bambine e una scuola di legno. Vi siete accorti? La prospettiva stavolta comprende anche un gruppo di mamme, appoggiate alla recinzione sinistra della scuola, dietro ai tigli. E’ il ritratto fotografico dell’art. 18 della Circolare Ministeriale n.36 del 1911, titolata «Bibliotechine per gli alunni delle scuole elementari» e firmata a nome del ministro Luigi Cedraro, il quale indicava come fosse meglio che qualche volta il maestro, specie nei giorni di vacanza, raccogliesse intorno a sé i suoi alunni e si facesse lui stesso lettore per i propri fanciulli e, a proposito delle possibili orchestrazioni della lettura ad alta voce, consigliava di invitare le famiglie «come ad una festicciola» per «coltivare il loro interessamento per la scuola, per la biblioteca, per l’educazione dei propri figli».
Dei ventiquattro scolari della Scuola all’aperto dell’anno scolastico1923-24, tre erano grandi lettori. La prima – in ordine alfabetico – era Mentana B., una bambina dal cuore gentile, sempre disposta a perdonare chi le faceva degli sgarbi, volontari o non, ma tutt’altro che ingenua. Di lei sappiamo che il papà era una sarto, che la mamma si chiamava Giulia e che si occupava con intensità dell’aritmetica anche se non era la sua materia preferita. Il secondo era Pietro F.. Il papà Goffredo faceva il falegname. La mamma Brigida non c’era più. Pietro è intelligente, vivacissimo e prepotente. La maestra narra come il bambino, studioso e profondo osservatore, giocasse spesso con serietà ma a volte anche sfrenatamente! E poi ecco, una frase di appena due parole ci attrae: «Legge avidamente». Luisa Marchesini attingeva con sensibilità e pertinenza ad uno smisurato bagaglio di aggettivi e avverbi che ci fa riconoscere tra le righe –forse perché ci appartiene – quel desiderio impaziente di leggere.
Al terzo posto del piccolo elenco, incontriamo Elide R. Femmina, disordinatissima e prepotente, poco studiosa ma attenta e competitiva, poco sensibile ai castighi. Elide si interessa al genere letterario dei racconti fantastici e storici e la sua figura di bambina, anche per questo, ci piace terribilmente e ci ispira! Possiamo immaginarla, immobile e rapita come un animale in muta, mentre la maestra Marchesini legge ad alta voce le «Storie della storia del mondo» della scrittrice Laura Orvieto che iniziavano così: «Leo era nel piazzale e aveva in mano una pallina. La buttava per aria e l’acchiappava, e poi la ributtava e la riacchiappava. Lia stava a vedere e la mamma leggeva. “Se sei capace di pigliare la palla ti do diecimila lire” disse Leo a Lia. La mamma alzò la testa dal libro. “Ma se non li hai, diecimila lire!” “No, ma io sono sicuro che Lia non riesce a prendere la palla!” “E se per caso riuscisse, che cosa faresti tu? Dovresti fare come Laomedonte”. “Chi era Laomedonte?” “Era un re”. “E che cosa faceva?” “Prometteva senza mantenere” “Mi racconti la storia di Laomedonte?”domandò Leo. E la mamma raccontò». La maestra si faceva lettrice e i bambini silenziosamente crescevano.
Gli studi in corso sulla storia della Scuola all’aperto maceratese non ci dicono nulla di più specifico sulla pedagogia della lettura che orientava le pratiche didattiche della maestra Marchesini. Tuttavia l’incrocio delle memorie orali degli ex-alunni con altre fonti di tipo archivistico mostra un’esperienza scolastica da cui ho potuto estrarre alcuni dettagli rivelatori del pensiero pedagogico di Giuseppe Lombardo Radice i cui programmi didattici, entrati in vigore proprio nel 1923, si ispiravano all’attivismo pedagogico dei primi del novecento. Il filosofo-pedagogista delle «Lezioni di didattica» era decisamente contrario a mescolare l’abilità linguistica con il gusto per la lettura e con parole quanto mai attuali così lo denunciava: «è frequentissimo il caso di veder trasformare la lettura in esercizio grammaticale, o in spigolatura lessicale. Prendere la poesia, il racconto per avvolgerli nella ragnatela grammaticale; far ricercare tutti i nomi, tutti gli aggettivi, tutti i pronomi e gli altri accidenti; far “analizzare” – come si dice – le funzioni della proposizione, e le disposizioni sintattiche della poesia e del racconto, significa sacrificare la lettura e far diventare noiosa l’ora destinata ad essa, che dovrebbe essere di tutta la giornata la più desiderata ed attesa. Sacrificio non insignificante, perché si uccide il gusto del leggere, e si riduce il tempo dedicato alla lettura, la quale viene perciò danneggiata e qualitativamente e quantitativamente. Gli esercizi di grammatica debbono stare da sé, indipendenti dalla lettura, come esercizi speciali, in ore speciali. L’ora di lettura è sacra alla lettura».
*Eleonora Rampichini, architetto, Ph.D. in Human Sciences-Education, Ricercatrice indipendente e libera professionista impegnata nella valorizzazione della cultura dei bambini
Bibliografia Scuole elementari del Comune di Macerata, «Diario della classe terza mista. Anno scolastico 1923- 24», Archivio di Stato di Macerata, Direzione didattica 1° circolo, Reg. AA. 1923-24 (G.Diaz)
Donatella Lombello, «Dalle «bibliotechine di classe» alla biblioteca scolastica nella rete nazionale», History of Education & Children’s Literature, I, 2, 2006, pp. 249-281
Hamelin (a cura di), «I libri per ragazzi che hanno fatto l’Italia», Bologna, Hamelin Associazione Culturale, 2011
Laura Orvieto, «Storie della storia del mondo. Greche e barbare», Firenze, Bemporad e figlio, 1911
Sitografia
www.ioleggoperche.it
Perché sono sparite queste persone senza eredi…..questa è la vera scuola, i primi 8 anni deve esseregestita così, basi che torneranno utili
anche all’università ….una commozione leggere soltanto il racconto.