di Elisabetta Pugliese
«Leggenda o realtà, bisogna dire che la Sibilla è stata una figura molto importante nell’immaginario collettivo delle persone del nostro territorio. La storia delle fate caprine è l’unica favola che mio padre mi raccontava quando ero bambina: provo un forte senso di appartenenza alla mia terra, per questo ho iniziato a scrivere libri su questa entità misteriosa». Così Elena Belmontesi, originaria di Smerillo, nella vita logopedista della comunità di Capodarco nella sede di Porto San Giorgio, spiega le motivazioni che l’hanno spinta a raccontare la Sibilla nei suoi testi. Sono molte le leggende e le storie che girano attorno a questa figura particolare, da sempre divisa tra leggenda e realtà. Alcuni l’hanno definita strega, altri una fata, per alcuni era malvagia, per altri buona, ma per il pensiero comune è una maga dai poteri straordinari, attorno alla quale ruota ancora oggi un grande alone di mistero. Per Elena Belmontesi scrivere libri è una grande passione, li ha pubblicati tutti con Giaconi Editore, e il suo pubblico non è costituito solo da bimbi e bimbe, ma anche da adulti. In questa intervista racconta chi era la Sibilla nell’immaginario collettivo e parla di molti argomenti a lei connessi, dalle fate caprine alla grotta, dai monti Sibillini al motivo per cui ha deciso di scrivere di lei.
Chi era la Sibilla? E cosa faceva?
«Dipende dai punti di vista. È fata o strega, buona o perfida. In generale si può dire che era una maga, sia nel positivo che nel negativo. Per noi oggi è una leggenda, per la generazione precedente alla mia, invece, era un’entità concreta, una presenza reale. Chi andava da lei ci credeva sul serio, e chiedeva responsi, informazioni su se stessi e sulle persone care, e cosa sarebbe successo nel proprio futuro. Anche quando è diventata più una leggenda la gente ha continuato ad arrivare da tutta Italia per visitare i suoi luoghi, perché lei era qualcosa di molto presente e forte, che aveva il controllo su tutto ciò che era riconducibile al magico e all’esoterico. Il percorso che portava da lei è raccontato da molti, la versione che preferisco è quella di Antoine de la Sale. È molto particolare, si parla di un ponte sottile che si allargava improvvisamente non appena si toccava col piede, di un antro spaventoso, porte gigantesche che sembrava quasi che colpissero i pellegrini o gli occhi dei grandi draghi. Bisogna dire però che questa strada passava poi dall’essere spaventosa al diventare illuminante. Dopo tante difficoltà ed ostacoli, conduceva in questo mondo meraviglioso in cui chi arrivava veniva rivestito, ricoperto d’oro e ospitato nella maniera migliore. Era tutto talmente paradisiaco che si tendeva a non tornare più nel mondo esterno, lo si poteva fare solo quando si arrivava a determinate date che avevano numeri simbolici».
Chi erano invece le fate caprine?
«Bisogna dire che le ancelle della Sibilla erano moltissime. Ad ogni modo, le fate caprine erano il collegamento con gli uomini, avevano accesso all’esterno della grotta e spesso scendevano a valle per entrare in contatto con gli abitanti della zona, tanto da insegnar loro il ballo scatenato del saltarello. Si univano ai cittadini generalmente nei momenti di convivialità, come le feste legate al raccolto e alla mietitura. Sono descritte come bellissime, donne affascinanti dai capelli lunghissimi che incantavano i giovani coinvolgendoli nella danza. Avevano però zampe di capra, con le quali si arrampicavano sui sentieri impervi. Invogliavano gli uomini a recarsi alla grotta, ma non li accompagnavano: andare lì era una decisione che dovevano prendere da soli».
Dove si trova la grotta?
«Si trova sul monte Sibilla, non sulla sommità ma leggermente spostata. L’ingresso attuale è tra la corona e la cima, ma non sappiamo se sia quella l’entrata originaria. Diciamo che è probabile, ma non ci è dato saperlo. Ci sono molte leggende a riguardo, ad ogni modo questo ingresso è l’unico di cui siamo a conoscenza. Fino a qualche anno fa era più accessibile, oggi tra le opere dell’uomo, come le mine, ed alcuni crolli naturali non ci rimane molto da vedere».
Perché la Sibilla si trovava proprio sui Sibillini?
«Di Sibille ne esistono molte in tutta Italia, non ho idea del motivo per cui la nostra si sia posizionata proprio lì. Immagino che potesse essere un punto strategico, perché i Sibillini sono i monti di congiungimento più importanti nella zona centrale del nostro paese: una via di collegamento tra l’Adriatico e il Tirreno, non troppo lontani da Roma, e così via. Secondo me non è un caso che la leggenda sia nata proprio in quel punto, quindi credo che l’importanza di questa maga nelle credenze popolari abbia influito molto anche sul nome dei nostri monti».
Come mai ha iniziato a scrivere storie sulla Sibilla?
«Io sono originaria di Smerillo e vado molto fiera della mia appartenenza al territorio. La Sibilla è proprio dirimpetto alle mie zone, con lei noi siamo nati. Quella delle fate caprine era l’unica storia che mio padre mi raccontava da bambina, per anni sono andata con lui in montagna proprio in quei luoghi, i Sibillini hanno un fascino unico. Il monte Sibilla e la grotta hanno un’attrattiva fortissima, se dovessi scegliere tra quella e qualsiasi altra montagna non avrei dubbi, tornerei lì, perché è stato quello che mi ha colpito più di tutti e ancora oggi mi tocca. La leggenda non tramonta mai, ammalia chiunque».