di Paola Nicolini
Il 25 aprile del 1945 è stata ed è una data storica per l’Italia: una grande parte della popolazione italiana si è ribellata alle leggi imposte dalla dittatura nazi-fascista.
Per questo motivo il 25 aprile si festeggia la Liberazione, nel nostro Paese.
Nel 1925, infatti, un uomo di nome Benito Mussolini, a quel tempo a capo del governo, emanò una serie di Leggi che limitavano molte libertà. Innanzitutto furono aboliti tutti i partiti, all’infuori di quello fascista, che Mussolini aveva fondato e di cui era il capo. Furono sciolti i sindacati che appartenevano all’area dei socialisti e anche del mondo cattolico, venne soppressa la libertà di stampa, vale a dire che i giornalisti non potevano scrivere e pubblicare nei giornali quello che documentavano o che pensavano, perché erano soggetti alla censura, cioè una forma di controllo rigido che faceva passare solo quello che veniva approvato dal governo.
Anche opporsi a queste restrizioni era proibito e chi lo faceva si metteva in grave pericolo: un Tribunale speciale per la difesa dello Stato e una polizia politica segreta, l’OVRA, erano stati istituiti proprio con il compito di sorvegliare e di provvedere a reprimere gli oppositori, molti dei quali subirono il carcere o furono inviati al confino. Ai lavoratori venne impedita la possibilità di scioperare, con l’intento di porre fine ai conflitti sociali, in nome dell’interesse superiore dell’economia nazionale e dello Stato.
Il mondo giovanile fu unificato nella Gioventù italiana del Littorio (forse hai sentito nominare, magari dalle persone più anziane che hanno vissuto in quel periodo, i Balilla e le Piccole italiane), affidando al Partito fascista il diritto esclusivo di educare le nuove generazioni. In particolare, balilla era il nome dato ai ragazzi tra gli otto e i quattordici anni, organizzati in formazioni molto simili a quelle dei militari.
Tra il 1936 e il 1939 Mussolini strinse un patto di alleanza con la Germania, dove governava un altro dittatore di nome Adolf Hitler, di cui si ricordano soprattutto le leggi razziali e la persecuzione messa in atto contro gli ebrei. In quegli anni anche in Italia si diffondevano idee razziste: il fascismo sosteneva la superiorità fisica e mentale degli italiani e considerava inferiori le popolazioni africane e anche i cittadini italiani di cultura ebraica. Secondo queste leggi non ci si poteva più nemmeno innamorare di persone considerate inferiori. È così che anche in Italia, nel 1938, furono introdotte le leggi razziali contro gli ebrei.
I decreti emanati trasformavano così l’Italia in un Paese antisemita, contrario e sfavorevole ai semiti, cioè agli ebrei, escludendoli solo per via della loro appartenenza a una razza. L’esclusione perciò avveniva in base a caratteristiche fisiche, intellettive e di comportamento, dalle quali si pretendeva di poter anche valutare l’intelligenza e la moralità delle persone.
Ai quasi 50.000 ebrei italiani venne impedito, tra le altre cose, di sposarsi con altri italiani, di lavorare in uffici pubblici, nelle banche o negli enti statali, di insegnare, di mandare i propri figli a scuola e di avere alle proprie dipendenze personale che non fosse a sua volta ebreo, lasciandoli fuori da ogni settore della società civile e dell’attività pubblica.
Cittadini e cittadine italiani, cresciuti fianco a fianco di altri italiani, si trovarono improvvisamente a essere dichiarati nemici della razza italica, considerata superiore, e a essere trattati come cittadini non graditi, da tenere lontani e da evitare, non importa se fossero uomini, donne, bambini o gente anziana.
Nel 1939, scoppiata la Seconda guerra mondiale in seguito all’attacco della Germania alla Polonia, l’Italia proclamò in un primo momento la neutralità armata. Ma poco dopo, ritenendo erroneamente certa la vittoria tedesca, il 10 giugno 1940 Mussolini fece entrare anche il nostro paese nel conflitto mondiale.
Dopo una serie di insuccessi, il regime fascista crollò il 25 luglio 1943. Mussolini, messo in minoranza dal Gran consiglio del fascismo, fu fatto arrestare dal re. Venne però liberato dai tedeschi, il 23 settembre dello stesso anno, e costituì la Repubblica sociale italiana, con sede a Salò, una specie di neofascismo, il cui governo collaborò alla repressione delle formazioni di partigiani che si opponevano al regime, durante una fase storica che è passato alla storia come “Resistenza”.
Insieme agli alleati americani, inglesi, polacchi e persino neo-zelandesi, giunti in Italia in supporto, il 25 aprile 1945, i partigiani riuscirono ad avere la meglio sul regime neofascista, che venne travolto grazie anche all’insurrezione popolare. Catturato mentre fuggiva in Svizzera, Mussolini venne giustiziato dai partigiani il 28 aprile.
Per questi motivi il 25 aprile è una data che non va dimenticata, essendo costato molto aver potuto recuperare la libertà che, a partire da quel giorno, è stata via via costruita e fondata, fino a dar vita alla nostra attuale Costituzione, che garantisce quelle libertà che i regimi, in generale, tendono a limitare se non proprio a eliminare.
Ci sono ancora partigiane e partigiani che testimoniano con i loro racconti di quel periodo, e l’A.N.P.I., Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, “è ancora oggi in prima linea nella custodia e nell’attuazione dei valori della Costituzione, quindi della democrazia, e nella promozione della memoria di quella grande stagione di conquista della libertà che fu la Resistenza” (leggi qui).
In questi giorni, in cui tutti abbiamo sperimentato quanto ci manchino alcune libertà, come quella di uscire, di passeggiare, di andare al parco o in montagna, di vedere i nonni o di frequentare i compagni di scuola, forse abbiamo potuto capire quanto sia importante salvaguardarle e prendersene cura.
La libertà è un diritto che richiede la responsabilità e la partecipazione per poter essere garantito proprio a tutti, soprattutto i più deboli, i più fragili, i più marginali.
*Paola Nicolini, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Dipartimento di studi umanistici, Università di Macerata