giovedì, Maggio 16, 2024

Il Misantropo
contro ogni ipocrisia

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Il cast del “Misantropo” sul palco del teatro “Nicola Vaccaj”

La recensione è stata scritta da Claudia Mochi, della classe 3A del liceo scientifico “F. Filelfo”, nell’ambito del progetto “Voci dal teatro”, a cui quest’anno partecipano, oltre a lei, anche Marta Antognozzi, Francesca Falconi Irene Leotta e Alex Guardati.

di Claudia Mochi

Il 15 dicembre si è aperta la stagione teatrale del teatro “Nicola Vaccaj” a Tolentino con lo spumeggiante spettacolo “Il Misantropo”. Il misantropo è un uomo di nome Alceste, che si presenta subito in un discorso animato con il suo più caro amico Filinte. Mostra quindi fin da subito tutto il suo odio per l’ipocrisia della gente che non dice mai ciò che pensa, se non in assenza dei diretti interessati e nei salotti che lui tanto disprezza. Detesta, inoltre, gli elogi che tutti fanno a chiunque, senza più dar loro spessore, come se fossero una cosa che si possa dire ad un caro amico come ad un individuo di cui si conosce appena il nome. Alceste, infatti, sostiene che elogiare tutti sia come elogiare nessuno. Eppure Filinte gli fa notare come questa cortesia, per quanto falsa, sia necessaria per vivere all’interno della società.

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Del resto, l’irrazionale amore che Alceste prova per Célimène, incarnazione della mondanità, della grazia e dell’incoerenza, stride con il suo stile di vita. Ella ricambia l’amore del misantropo, eppure, allo stesso tempo, lo fa impazzire di gelosia, in quanto concede i suoi sguardi anche ad una nutrita corte di adulatori. Sarà proprio questa gelosia, unita all’incompatibilità intrinseca dei due caratteri, che li porterà a soffrire e sarà la spietata sincerità di Alceste che renderà impossibile l’amore. La sua incapacità di mentire lo metterà anche nei guai, tanto che alla fine si vedrà costretto ad abbandonare la realtà mondana in cui, suo malgrado, è inserito. Ma prima di andarsene chiederà alla sua amata Célimène di seguirlo in quella che sarà una vita solitaria, da misantropo appunto. Ma la giovane, troppo legata a quella società di cui è un ingranaggio perfetto, rifiuterà di unirsi ad Alceste, che se ne andrà da solo per la sua strada.

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L’opera è del celeberrimo autore francese seicentesco Molière e il calibro del testo, a distanza di 400 anni,
continua a farsi sentire e ad attirare ingenti quantità di spettatori, che hanno riempito il teatro, portando lo
spettacolo al sold out. Eppure, il merito non è stato solo del gran nome dell’opera, ma anche della regista Nora Venturini, che con la sua grande abilità ha saputo trattare un capolavoro teatrale in maniera sublime, riducendolo rispetto all’originale, ma preservandone quel genio, quell’attualità e quell’espressività che Molière ha fatto arrivare fino a noi. Anzi, è riuscita ad esaltarlo ancora di più, mantenendo viva l’attenzione del pubblico che altrimenti, in uno spettacolo di 4 ore, si sarebbe persa, rischiando di non prestare attenzione ai sottili passaggi dell’opera. Attenzione che grazie alla sua bravura è, invece, rimasta vivissima, anche a dispetto della sceneggiatura e dei costumi seicenteschi, che però, invece di allontanare lo spettatore dalla scena, lo hanno aiutato a rimanere con gli occhi incollati al palco, per via della loro inconsuetudine.

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Ineguagliabile anche la bravura e la coinvolgente espressività dei due grandi nomi della cinematografia
italiana: Giulio Scarpati, Alceste, e Valeria Solarino, Célimène. Scarpati, nella sua interpretazione del misantropo, ci dice che Alceste odia coloro che si girano dall’altra parte, quelli che elogiano e basta, senza darsi pena se quella persona se lo meriti o meno, purché sia vantaggioso per loro: gli approfittatori. Una visione quasi troppo attuale per farci pensare che l’opera risalga a 400 anni fa. In una società dove tutti hanno paura di dire ciò che pensano, di andare contro corrente e di avere una propria opinione, un Alceste è l’unica cosa che potrebbe svegliare e allo stesso tempo impaurire un mondo senza colore come il nostro, dove l’importante è piacere a tutti. Forse è anche questo, oltre alla pesante critica a una società di ipocriti, che il “Misantropo” ci vuole comunicare: dire la verità è un atto di coraggio. Un incitamento alla sincerità e un disprezzo per gli ignavi che galleggiano tra un’adulazione e l’altra.

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«Célimène è una di questi – ci dice la Solarino – una donna fragile, insicura di sé, che quindi vuole ricevere
sempre complimenti e lodi d’ogni sorta. Nonostante questo, però, è innamorata di Alceste». «Lo spettacolo – afferma Scarpati – ha proprio scelto di mettere in risalto questo amore contrastante, l’incoerenza dello stesso misantropo, il fustigatore dei costumi, che però si innamora dell’incarnazione della mondanità e che nel tentativo di mantenere la coerenza della sua filosofia lo porta ad un non-compromesso, ovvero la richiesta alla donna che ama e che lo ama alla follia di cambiare tutta se stessa, di staccarsi dalla sua natura, dal suo ambiente per lui». Una cosa che non può chiedere, perché per Célimène vorrebbe dire rinunciare al suo vero io. Dunque, per entrambi, questa storia non può che concludersi, nonostante si amino.

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Giulio Scarpati e Valeria Solarino prendono gli applausi insieme agli altri attori

Un tema molto profondo quello toccato dallo spettacolo: non si parla più di un amore altruista, un amore del compromesso, del venirsi incontro, no. Quella del misantropo è una visione egoistica dell’amore, non capisce, o forse non vuole capire, che la felicità della sua donna è in quella società e che se lui l’ama veramente deve essere disposto a scendere al compromesso che lei aveva già iniziato proponendogli di sposarla e di essere per sempre suo. Un problema, anche questo, che riguarda la società di oggi, sempre più egoista, sempre meno interessata al prossimo, avara di sentimenti autentici, ma prolifera di falsi sorrisi. Il misantropo è, quindi, un personaggio complesso, pieno di luci ed ombre, che fanno venire a galla ciò che invece vorremmo tenere nascosto dietro dolci parole. Tutto questo è stato reso nel meraviglioso spettacolo di domenica, che ha lasciato il segno nel teatro di Tolentino.

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