Sono passati dieci giorni da quando la terra ha tremato forte nel centro Italia: erano le 7.40 del 30 ottobre e da quel momento la vita di numerose persone è cambiata radicalmente. La macchina dei soccorsi ha risposto prontamente. In aiuto dei terremotati sono scesi in campo medici infermieri, operatori del 118, della protezione civile, della Croce Rossa, delle forze dell’ordine, degli enti locali e del sistema sanitario nazionale, delle organizzazioni di volontariato, vigili del fuoco, militari, polizia, educatori e medici. Di questo elenco fanno ovviamente parte anche i pediatri. «Non possiamo esimerci dal fornire alle famiglie un aiuto concreto – afferma Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale – non soltanto sanitario ma anche psicologico, visto che l’evento sembra non giungere mai a conclusione». «L’impeto del terremoto– spiega la dottoressa Mery Azman – diffonde una sensazione di impotenza; ridisegna la geografia del territorio, cancella i ricordi, segna la memoria storica del luogo e intacca le stesse radici culturali, sociali e lavorative degli abitanti: in altre parole, cancella i punti di riferimento e impone l’adattamento a nuove abitudini di vita. Compito del pediatra è quello di sostenere i genitori affinché, a loro volta, possano aiutare i propri figli a superare i momenti più critici».
Ecco quindi qualche consiglio per parlare di terremoto con i bambini:
Valorizzare gli esempi di solidarietà, non soltanto dei vicini e di chi è presente sul territorio ma dell’intera nazione: il calore umano dà forza e aiuta a vincere il senso di solitudine;
Trovare spunti in grado di creare aspettative stimolanti e tali da giustificare sofferenze e disagi di cui è sempre opportuno sottolineare il carattere di eccezionalità e temporaneità: si ricostruirà una casa più bella e sicura, in cui il bambino potrà proiettarsi con la sua fantasia, la scuola sarà colorata e spaziosa, il paese risorgerà sarà più bello di prima e così via;
Individuare sempre gli aspetti positivi di ogni situazione, evitando di manifestare apprensione: le case provvisorie, per esempio, pur senza offrire tutti i comfort, promuovono la socializzazione, creando vere comunità in cui tutto, dalle gioie ai timori, dalle ansie fino alle speranze, viene condiviso;
Utilizzare approcci differenti a seconda dell’età del bambino: ai più piccoli, per spiegare il terremoto, possono bastare racconti di fantasia, mentre ai più grandi è fondamentale illustrare come comportarsi durante una scossa sismica ed eventualmente prestare aiuto a chi ne dovesse avere bisogno. In ogni caso è bene rispondere a ogni domanda, anche se ripetitiva, cercando di comprenderne la ragione intima;
Aiutare sempre il bambino a esternare ciò che prova e a dare un nome alle proprie emozioni, facendolo sentire protetto: il disegno, per esempio, è un ottimo strumento espressivo in ogni fascia d’età, che può assumere una valenza perfino terapeutica;
È sempre opportuno che sia il bambino a gestire i propri ricordi: non è produttivo rievocare le sue reminiscenze o esprimere nostalgia per ciò che non esiste più, ma vivere piuttosto nel presente guardando al futuro e lasciando che sia lui a manifestare, in maniera più o meno diretta, le sue paure e i suoi bisogni di rassicurazione;
Un messaggio importante è che i terremoti, al pari di nubifragi, uragani o siccità, sono eventi naturali e in alcuni luoghi si verificano con maggiore frequenza o probabilità, ed è importante essere preparati ad affrontarli: i genitori sono un modello di riferimento per i bambini e la ripresa il più precocemente possibile delle ordinarie attività quotidiane, nella misura del possibile, nonché un impegno concreto, qualunque esso sia, nel dare aiuto chi ha più bisogno sono esempi eloquenti e istruttivi;
Intercettare e segnalare al pediatra i possibili segnali di ansia e disagio: in molti casi, sono mascherati da sintomi senza apparente causa organica, quali per esempio, mal di testa, mal di pancia, diarrea, dolori più o meno vaghi, che potranno richiedere un approccio specifico;