Un pomodoro estinto riportato alla luce dopo quasi 100 anni grazie a dei semi segreti conservati in Russia. Non è la trama di un film di spionaggio alimentare ma il lavoro del biologo Sergio Salvi che collaborando con l’Università politecnica delle Marche e l’Università di Sassari ha fatto rinascere il “Varrone”, un pomodoro scomparso dalle tavole degli italiani da quasi un secolo. Il varrone è una qualità nata all’inizio del ‘900 grazie agli esperimenti genetici di Nazzareno Strampelli.
Lo scienziato maceratese, originario di Castelraimondo, aveva incrociato diverse qualità di pomodori per cercarne uno che avesse nel suo Dna le difese per la peronospera, una malattia delle piante. Con successo ottenne il varrone che fino alla fine degli anni ’30 era ampiamente utilizzato in cucina. E’ particolarmente buono per fare il sugo della pasta. Negli anni però, con la diffusione dell’agricoltura industriale, venne sostituito da altre varietà, più facili da coltivare e da raccogliere. Con le macchine infatti è più comodo utilizzare piantine “nane” mentre la piantina del varrone cresce abbastanza alta. «Sono un appassionato del lavoro di Strampelli – spiega Sergio Salvi – da anni studio la sua vita e le sue ricerche. Con un colpo di fortuna ho scoperto che lo stesso Strampelli nel 1925 aveva spedito alcuni semi di varrone in una banca genetica a Sanpietroburgo, in Russia, dove sono stati conservati fino ad oggi. Ora li abbiamo piantati e siamo riusciti a far rinascere nuove piantine». Se gli esperimenti continueranno ad aver successo presto si potranno trovare nei supermercati e dai fruttivendoli anche i pomodori varrone. A suo tempo Strampelli aveva selezionato in modo analogo anche una varietà di grano che chiamò “Senatore Cappelli”, da cui si ottiene una pasta prelibata, di qualità superiore. Abbinata al sugo ottenuto dai pomodori varrone permetterà di gustare un vero piatto di pastasciutta col pomodoro con ingredienti di cento anni fa.