La pandemia è stata per tutti noi una fase straordinaria, nessuno di noi se lo aspettava, né era preparato ad affrontarla e ancora oggi, dopo più di due anni facciamo fatica a capire cosa ci ha lasciato. Studenti e studentesse del ciclo di lezioni di Metodi e tecniche di analisi dello sviluppo umano del corso di laurea in Scienze filosofiche, all’Università di Macerata, con la supervisione della professoressa Paola Nicolini hanno intervistato alunni e alunne di una scuola dell’entroterra e raccontano, in questa rubrica “La pandemia vista dall’interno”. Le emozioni e gli stati d’animo raccolti con le interviste alla classe forniscono uno spaccato sui pensieri e i sentimenti di questa giovane generazione, alle prese con nuove sfide del dopo terremoto, nel bel mezzo della pandemia e di una guerra in corso
«Fortuna che questo cavolo di virus ha un po’ risparmiato noi adolescenti, perché altrimenti io non avrei saputo dove mettere la testa durante tutto questo tempo. Le leggi uscivano l’una dopo l’altra, vietandoci di vederci, di toccarci, di abbracciarci, di giocare insieme. Ma io mi sono chiesto più volte se questi che fanno le leggi sono mai stati adolescenti. Sanno cosa significa stare lontani dagli amici? A noi del virus non ce ne frega proprio niente. Non poter aver accanto a sé un amico o un’amica è peggio di prendere il covid». Queste parole di un adolescente potrebbero riassumere la risposta alla domanda: “Come gli adolescenti hanno vissuto i rapporti di amicizia durante la pandemia?”.
di Michaélis Taïwo*
L’amicizia è la vita
Innanzitutto, bisogna sapere cos’è un amico o un’amica per un adolescente. Di solito, l’adolescenza è caratterizzata dalla ricerca di una liberazione dalla famiglia che comincia ad essere vista come pesante. È vero, bisogna evitare di affrettarsi nelle generalizzazioni, perché ci sono ragazze e ragazzi che mantengono con i loro cari rapporti bellissimi. Ma che questa caratteristica valga o no, l’adolescenza è il momento in cui comincia a contare di più l’amico o l’amica, cioè l’altro o l’altra che è come me, ha più o meno la mia stessa età e sta fuori dalla mia famiglia, con cui passo un sacco di tempo, a fare… non so neanche cosa faccio con lui o lei, so che siamo insieme e le/gli voglio un sacco di bene.
Un ragazzo intervistato ha detto: «io, prima della pandemia, uscivo molto con i miei amici… ero tanto socievole». E ancora: «io facevo con gli amici tante cene; eravamo tanto legati». Certo che i parenti sono importanti, ma per molti ragazzi e ragazze, gli amici vengono prima. Con loro almeno non si parla di compiti e di scuola, di aiutare in casa e ci si sente compresi o comprese e non giudicati o giudicate; è il famoso gruppo di pari. In questo periodo si costruisce il “codice fraterno», come lo chiama lo psicanalista Diego Miscioscia. L’amicizia è fonte di rinascita e di gioia, come diceva una ragazza che è andata a un campo scuola in cui si è fatta nuove amicizie: «Allora mi sono divertita tantissimo perché ho conosciuto persone nuove». È vero che è anche fonte di sofferenze. Spesso si sente dire questo tra i ragazzi o le ragazze: “abbiamo litigato”, “ho rotto con lui”, “non lo voglio neanche sentire”… Però pure questo fa parte dell’amicizia.
Maledetta pandemia
Poi è venuta questa maledetta pandemia. Ha cominciato a creare, a mano a mano che i casi aumentavano, una distanza da tutto ciò che contava, soprattutto gli amici e le amiche. Questo ultimo aspetto è probabilmente quello che è stato il più sentito dagli adolescenti intervistati, è stato come sentirsi privati di una parte di sé. La pandemia è diventata presto sinonimo di distanza dagli amici e dalle amiche. Qualcuno ha detto che l’ha vissuta come una perdita di legame con gli amici. Una ragazza ha confessato di essere caduta in depressione per l’assenza dei suoi amici e delle sue amiche. Un altro ha detto che piangeva tanto, tutto il giorno. La pandemia è stata un momento di prova per più di uno, un momento di solitudine.
Ce l’abbiamo fatta
Ma l’adolescenza è anche un’età in cui uno non si arrende facilmente, in cui uno comincia a lottare per i propri valori. Si doveva affrontare dunque la questione: come superare questo problema? Certo, da un lato, la famiglia è stata una preziosa risorsa, come abbiamo sentito dalle parole di ragazzi e ragazze che abbiamo raggiunto. La presenza dei genitori e dei fratelli e sorelle, per chi ne ha, ha aiutato a superare la solitudine. E per un certo verso, la pandemia ha permesso di riscoprire il lato benefico della famiglia, come ha detto un ragazzo: «la famiglia è ciò che rimane dopo tutto… spero».
Dall’altro lato, ci sono le tecnologie che hanno favorito il mantenimento dei legami: il telefono con i social, la playstation. Con la playstation, si poteva continuare a giocare insieme, anche a distanza. Oggi internet lo permette. Per la generazione attuale degli adolescenti sembra non esserci tanta differenza tra l’offline e l’online; è un tutt’uno: l’onlife. E i social permettono di vivere a tempo pieno l’onlife. In questo modo, i ragazzi e le ragazze che avevano questi mezzi hanno saputo mantenere i legami o perlomeno hanno provato a non cadere nella solitudine.
Ma è anche vero che i social non possono sostituire un abbraccio. E quindi la tecnologia non ha risolto tutti i problemi. E allora ci si è resi conto che la pandemia non è poi stata una maledizione, perché ci ha rivelato il nostro bisogno dell’altro, dell’altra. Ha permesso di accorgersi che, senza di lui o di lei, mi manca una parte di me. Un ragazzo ha affermato che la pandemia gli ha fatto gustare di più l’amicizia che, prima, dava per scontata; ha detto: «adesso, siamo più uniti di prima della pandemia». Una ragazza ha detto invece che, «dopo il lockdown, c’è stata una grande soddisfazione di rivederli [gli amici e le amiche]».
Certo, non sempre le cose stanno in questo modo, non sempre si riesce a riallacciare i rapporti meglio di prima, o come prima. Ma la speranza è anche una caratteristica dell’adolescenza, come ci ha spiegato uno di loro alla fine di un’intervista: «però di sicuro si può recuperare tutto; tutto è possibile».
*Michaélis Taïwo, il lavoro è frutto della collaborazione tra l’autore del testo e il resto del gruppo degli studenti e studentesse formato da Riccardo Giachini, Matilde Palpacelli, Sofia Quattrini, Michaelis Taiwo e la supervisione di Paola Nicolini, all’interno del ciclo di lezioni di Metodi e tecniche di analisi dello sviluppo umano del corso di laurea in Scienze filosofiche, all’Università di Macerata.