La recensione dello spettacolo “Il fu Mattia Pascal”, messo in scena il 19 dicembree al teatro Nicola Vaccaj a Tolentino. I ragazzi e le ragazze dell’istituto Filelfo che partecipano al progetto “Voci dal Teatro” sono Francesca Mattiacci, Emma Scinti Roger, Edoardo Costantini, Michele Polisano, Claudia Mochi.
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Mattia Pascal (Daniele Pecci) è uno scioperato appartenente a una ricca famiglia impoveritasi, alla morte del padre del protagonista, a causa della mala gestione dei loro averi operata dal ricco amministratore delegato Batta Malagna. Quest’ultimo non è solo la rovina economica di Mattia, costretto a un misero lavoro di bibliotecario, ma anche sentimentale, poiché gli ruba l’amata Olivia e lo costringe a sposare la nipote Romilda Pescatore (Marzia Postogna), che Mattia ha disgraziatamente messo incinta. Ne nasceranno due gemelle, la prima delle quali morirà poco dopo la nascita, mentre la seconda gli lascerà il tempo di affezionarsi per poi morire poco prima di compiere un anno, lo stesso giorno dell’amata madre di Pascal. Dopo questi lutti, i rapporti coniugali e con la suocera, la vedova Pescatore(Diana Höbel), diventano sempre più pesanti, tanto che il protagonista fugge a Montecarlo, nel cui casinò vince una fortuna. Mentre si appresta a tornare, però, leggendo il giornale scopre che la sua famiglia ha identificato il corpo di un suicida in stato di putrefazione avanzata con il suo nome. Decide così di sparire, di crearsi una nuova vita e una nuova identità, e per questo cambia il suo nome in Adriano Meis. Parte dunque senza un documento, ma ricco, verso Roma, dove affitta una stanza. Qui diventa completamente una nuova persona, curandosi anche lo strabismo, ultima traccia di Mattia Pascal. S’innamora della figlia del padrone di casa, Adriana Paleari (Marzia Postogna) e la sua vita sembra perfetta, fin quando non viene derubato dal cognato di Adriana e, non potendo né denunciare il furto né sposare la donna amata a causa della mancanza di documenti, decide di inscenare il suicidio di Adriano Meis e di tornare a casa con la sua vecchia identità. Ma anche per Mattia Pascal ci sono molti problemi ad attenderlo: Romilda, credendolo morto si è risposata con un vecchio amico di Mattia, Pomino, con il quale ha avuto una figlia. Tanto per l’amico quanto per la vedova Pescatore, Pascal non scioglie il matrimonio tra i due, come era di suo diritto, ma decide di andarsene. Per la strada si accorge che nessuno è spaventato dalla sua vista, ma la risposta a questo problema è semplice: si sono tutti dimenticati di lui. Ormai non può far altro se non riprendere il suo precedente impiego di bibliotecario, ritirandosi in una vita condannata al senso di estraneità dal mondo.
La rappresentazione teatrale è riuscita a riassumere e mettere in risalto le parti essenziali di un libro di più di duecento pagine in due ore di spettacolo. I due aspetti che il regista ha particolarmente voluto mettere in risalto sono la figura dell’inetto, perfettamente interpretato da Daniele Pecci che caratterizza il suo personaggio come una persona impacciata e incapace di trovare il proprio posto nella società, e quell’umorismo tipicamente pirandelliano che nasce nelle emozioni discordanti che si sviluppano dentro Mattia, condizionato anche dalle sue altre due personalità di Adriano Meis e del redivivo Mattia Pascal. Appunto per rendere più chiari i tre punti di vista di questo stesso personaggio, costretto a diventare maschera di se stesso, il regista ha deciso di rendere la recitazione lineare e il messaggio drammaturgico essenziale. Nonostante questo, quello del protagonista rimane un personaggio ambiguo, è sfuggente a tal punto da non far comprendere se lui sia la vittima, il carnefice o entrambi; è un codardo o un eroe negativo?
Anche la scenografia austera ha avuto un forte impatto, in quanto, appena aperto il sipario, lo spettatore è catapultato all’interno della vecchia e polverosa biblioteca dove il protagonista sta raccontando la sua storia a Don Eligio(Rosario Coppolino). Inoltre i repentini cambi di scena, dovuti spesso al semplice spostamento delle librerie con i rispettivi mutamenti di personaggi, rendono il ritmo incalzante e alleggeriscono la drammaticità dei soliloqui, portandoci dolcemente a riflettere sul tema, più che mai moderno, di che cosa sia l’identità. Per Pirandello il problema era essere per se stessi una persona del tutto diversa da quella che gli altri conoscono e adesso, che il dilemma persiste e si è anzi maggiormente intricato, è quello di trovare la nostra identità in un mondo dove quel che siamo per gli altri spesso non è che un numero o un immagine fittizia per nascondere il nostro vero io, che spesso neanche noi stessi vogliamo conoscere.